Tecnica, improvvisazione e passione: a Duemilalibri il jazz di Aldo Pedron

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GALLARATE – «È una musica d’improvvisazione, dove non c’è nulla di improvvisato». Dopo aver fatto le veci di Massimo Cotto, impossibilitato a presentare il suo “Rock Live” per il maltempo in Piemonte, Aldo Pedron ha raccontato a Duemilalibri la storia del jazz, e la genesi della guida che gli ha dedicato. Ieri, lunedì 25 novembre, al Teatro Condominio di Gallarate, il giornalista ha risposto alle domande di Maurizio Galli, critico musicale milanese, nell’incontro introdotto dall’assessore alla Cultura Massimo Palazzi.

Il punto di vista di un rockettaro

«È un genere musicale che ho iniziato ad ascoltare: è emozionante vederne l’attività nel mio campo», ha esordito Palazzi. «Tra le modalità con cui si esprime c’è l’improvvisazione: l’abbiamo vista stasera, quando Pedron ha deciso di sostituire Cotto, relatore di cui doveva essere spalla». «Non capisco niente di jazz», si è schermito l’autore. Precisando poi: «Nasco come rockettaro, ho iniziato a comprare dischi nel 1966. Blues, rock, beat, country, era al novanta per cento musica americana: rientra anche il jazz». L’intento non è stato realizzare un’enciclopedia ma proporre una guida, tra album per neofiti e ascoltatori più esperti, con ciò che gli piaceva di più. L’idea è nata dalla conversazione con un amico della casa editrice Applausi, che l’ha convinto a riprendere, rielaborare ed espandere un articolo online che aveva scritto sulla storia del jazz.

«Ogni decennio è sempre peggio»

Durante l’incontro sono stati proiettati i filmati dei brani più significativi, con l’apertura affidata a “What a wonderful world” di Louis Armstrong. A rappresentare il capitolo sulle donne jazziste sono state Nina Simone, con “My baby just cares for me”, e Etta James, con “I’d rather go blind”. Se anni Cinquanta e Sessanta sono i migliori, «ogni decennio è sempre peggio»; ma, secondo Pedron, anche il nuovo millennio può rivelare grandi artisti, come Diana Krall con “Walk on by”. «I tre Louis – Armstrong, Prima e Jordan – sono importanti», però la difficoltà maggiore è stata fare una classifica dei dischi di Miles Davis: «ce ne sarebbero setto o otto da consigliare». L’Italia ha dato molto al jazz con Renato Carosone, Raf Montrasio e, in tempi più recenti, Paolo Fresu e Danilo Rea, autori anche di un’originale rilettura di “Almeno tu nell’universo” di Mia Martini.

La nascita della parola “jazz”

L’Italia è coinvolta nella nascita della parola “jazz”. Il primo disco del genere fu inciso nel 1917 dalla Original Dixieland Jass Band di Nick La Rocca, artista di origini siciliane. I passanti si divertivano a stracciare la lettera “j” dai loro manifesti, cambiando la parola in quella che volgarmente indica il fondoschiena: le esse vennero allora trasformate in zeta.
«Il jazz è musica d’improvvisazione dove non c’è nulla di improvvisato», è stata la definizione di Pedron, che dedicherà i prossimi due libri al legame tra treni e canzoni e alla scena di San Francisco. «Tutto nasce da un patrimonio musicale, da una tecnica eccellente e da una sensibilità e creatività personale. Questi sono i canoni, e i requisiti, da cui produrre qualcosa di musicalmente inappuntabile: l’improvvisazione, nella musica e nel jazz, è frutto di un bagaglio tecnico-emozionale».

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