E la Lega bussò. Anche al Sud

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  1. Ha vinto anche in Basilicata. E ha vinto alla grande, sfiorando il 20 per cento dei consensi, come se le elezioni si fossero svolte al Nord, dove la Lega ha le proprie radici e per tradizione identitaria ne condiziona da anni le sorti politiche. Successo annunciato, ma che ora, all’indomani dei risultati inanellati dopo il 4 marzo di un anno fa in molte regioni e città, Friuli, Sardegna, Abruzzo e Molise, stabiliscono per il Carroccio il rischio di una crisi di crescita difficile da governare. Il primo ad esserne consapevole pare proprio Matteo Salvini quando dichiara: “Dobbiamo comunque tornare ad avere quella grinta e quella cattiveria di 5 anni fa quando la Lega era al 4 per cento. Mai montarsi la testa. Dobbiamo dimostrare alla gente che ci siamo”.
    Né più né meno quanto sostiene Giancarlo Giorgetti, il numero due del partito, quando in un’intervista dei giorni scorsi a Malpensa24 ha bacchettato quei leghisti che, al Nord, sembrano aver perduto l’entusiasmo delle origini. Insomma, vertici leghisti felici per le vittorie, ma con giudizio.
    Salvini ha sdoganato la Lega al Sud, operazione tutt’altro che facile, piena di insidie e trappole. L’esito delle urne lucane sembra significare una svolta decisiva, dentro la quale si cancellano i trascorsi contro il Meridione, che pure avevano sostenuto il movimento che fu di Umberto Bossi per un paio di decenni. Tutto dimenticato? Per dirla con il ministro dell’Interno, può essere che la gente oggi si fidi dell’azione politica della Lega nazionale, proiettata con il suo slogan “prima gli italiani” lungo l’intera Penisola, senza più alcuna distinzione o, peggio, guerre di latitudini. Di certo, dai tempi di Bossi, si è girato il mondo. Matteo Salvini e la nuova dirigenza leghista sono stata capaci anche di stendere un velo sugli scandali della family, dei diamanti e degli investimenti in Tanzania. Persino dei 49 milioni di contributi elettorali che, secondo i giudici di Genova, il partito dovrebbe restituire, non si parla più. Per dirla in un altro modo, siamo di fronte a una sorta di capolavoro politico. Almeno fino a prova contraria. Ed è qui che si inserisce la prudenza di Salvini e Giorgetti. Quello che sta capitando ai Cinque Stelle, cioè il pesante calo elettorale, è già accaduto con esiti devastanti al Pd di Matteo Renzi. L’elettorato è volubile, cambia opinione a seconda delle circostanze e degli umori. E le crisi di crescita finiscono sempre per produrre effetti negativi. Le politiche sull’immigrazione, la sicurezza, la giustizia, il fisco, l’Europa possono esaurire la loro spinta propulsiva anche in un amen.
    C’è poi da considerare un altro aspetto: i successi della Lega sono maturati all’interno della coalizione di centrodestra, coi pentastellati come avversari, mentre al governo, Carroccio e M5S ,sono alleati. Un doppio binario che pone degli interrogativi. Che troveranno probabile risposta con le Europee del 26 maggio: da lì in poi può succedere di tutto. Qui, sia Salvini sia Di Maio, hanno un bel dire che il governo non ne risentirà: dipende dal risultato, dalle opportunità che si apriranno per la Lega se, da oggi fino alle urne tra due mesi, saprà mantenere la curva ascendente a discapito proprio dei Cinque Stelle. A quel punto, date le divergenze operative su molte questioni, toccherà ancora al segretario leghista decidere se mandare all’aria il famoso contratto e aprire a nuove elezioni con vista sul centrodestra o se, invece, continuare un matrimonio che, al momento, appare più che altro da separati in casa.
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