Decisive le buche nelle strade. Più di Salvini e Meloni

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La domanda è: in provincia di Varese hanno vinto le elezioni i partiti o i sindaci? Domanda retorica, risposta scontata: i sindaci. E laddove – vedi Varese – il primo cittadino uscente ha mancato di un soffio la riconferma al primo turno, di sicuro ha fatto da traino al proprio partito di riferimento, nel caso di Davide Galimberti, il Pd. Le liste che si richiamano direttamente ai sindaci hanno ottenuto risultati eclatanti. A Busto Arsizio, addirittura, la formazione civica di Emanuele Antonelli è il primo partito con un sonoro 20 per cento. A Gallarate tallona la Lega e, a Varese, veleggia su percentuali più basse, ma seconda soltanto ai democrat. Per dirla in un altro modo, le amministrative di domenica e lunedì hanno messo in secondo piano i partiti tradizionali.

Scenario inedito, che richiede un serio ragionamento attorno a scelte di un elettorato che non risponde più ai soliti schemi e denuncia una profonda disaffezione per la politica. Tutto questo, benché nella nostra provincia il centrodestra rappresenti ancora una alleanza più o meno sicura, in controtendenza rispetto al resto del Paese. Il modello Varese rischia di diventare un laboratorio politico all’incontrario. Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia in qualche modo “tengono”. Con la sorpresa dei berlusconiani, dati per defunti in scia allo tsunami giudiziario di Mensa dei poveri, ma vivi e vegeti nonostante abbiano smarrito i fasti elettorali di un tempo. E in molte circostanze abbiano dovuto fare i conti con defezioni eccellenti o fughe (Gigi Farioli a Busto) verso altri lidi.

Senza di loro, però, i sindaci del centrodestra non avrebbero mai vinto al primo turno. Tanto più con una Lega non più in grande spolvero, anzi, in fase depressiva. E con Fratelli d’Italia al di sotto delle aspettative annunciate ai diversi livelli. D’accordo, le liste dei sindaci hanno drenato voti. Proprio una tale considerazione ripropone con insistenza la necessità di rivedere le dinamiche di sempre dei partiti. La sensazione è che i sindaci abbiano capito l’importanza di stare tra la gente, di ascoltare le istanze che arrivano dal basso. Diciamolo in chiaro: ai fini elettorali conta di più una buca nella strada riparata subito dopo la segnalazione di un cittadino che certi discorsoni inutili su temi alti, ma non percepiti dalla maggioranza degli elettori. Tant’è vero che ci sono primi cittadini che a pochi mesi dalle urne si sono messi a rispondere via social a chiunque presentava un’istanza, anche la più banale. Strategia semplice semplice, quanto efficace. Altro che la “Bestia” salviniana.

A proposito di Salvini. Le sue toccate e fughe in provincia durante la campagna elettorale non pare abbiano alzato l’asticella dei consensi. Busto, Gallarate e Varese visitate in sequenza hanno finito per rappresentare una sorta di ripetizione di temi e appelli poco graditi ai cittadini proprio perché sempre gli stessi. Nemmeno Giorgia Meloni a Busto Arsizio è servita per aumentare il numero di voti riservati a Fratelli d’Italia, che soccombe alla lista del sindaco in maniera piuttosto clamorosa. E c’è chi sostiene che l’improvvisata di Matteo Renzi a sostegno di Gigi Farioli abbia causato un danno d’immagine piuttosto che un beneficio elettorale.

Che cosa significa tutto cio? Primo: che i leader nazionali non impressionano più nessuno, al netto di inchieste e strane situazioni collaterali a loro che in queste settimane hanno dominato la scena mediatica. Due: che i nuovi leader, perlomeno in sede locale, sono i sindaci. Tre: che le segreterie politiche dovranno sottostare ai primi cittadini che esse stesse hanno espresso. In prospettiva, un pericolo per il confronto democratico comunemente inteso. Soprattutto a fronte di qualche primo cittadino che troverà nuove giustificazioni alle sue innate derive dispotiche. Esageriamo? Lo sapremo solo vivendo.

Nel frattempo, ribadiamo un altro motivo di preoccupazione: il forte astensionismo. Urne disertate alla grande (sempre a Busto ha votato poco più del 45 per cento degli aventi diritto!), con mille motivazioni. C’è chi sottolinea la diffusa mancanza di senso civico, ma probabilmente c’è di più. Tanto per cominciare, le nuove amministrazioni nascono da una minoranza, cioè dal 25 per cento degli elettori rispetto a una platea quattro volte più vasta. Esiti delle urne perfettamente legittimi, sostanza politica degli eletti dimezzata, anzi, ridotta a un quarto. Se sia colpa dei partiti o, appunto, della mancanza di consapevolezza democratica dei cittadini, non sapremmo dire. Nell’uno e nell’altro caso, c’è poco o nulla per essere felici.

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