Il pm Calcaterra: «Risse nonostante il Covid, non a causa del Covid»

nadia calòcaterra

GALLARATE – «Questi sono fatti gravissimi. Non sono ragazzate: sono reati». E nello specifico quelli contestati a vario titolo ai 30 indagati sono i reati di rissa, lesioni e porto abusivo di oggetti atti ad offendere. Oggi, nell’illustrare i dettagli dell’operazione “Ehi bro n.p.t” (letteralmente Ehi bro no parla tanto, gergo usato dai ragazzi per evitare di essere intercettati) portata a termine degli investigatori della Squadra Mobile di Varese e del Commissariato di pubblica sicurezza di Gallarate il pubblico ministero della procura della Repubblica di Busto Arsizio Nadia Calcaterra, ha voluto spiegare «Quale messaggio si vuole inviare attraverso questa conferenza stampa».

La pandemia non c’entra

Un messaggio chiarissimo: «Questi fatti accaduti un po’ ovunque, recentemente anche a Milano o Roma, non sono ragazzate. Siamo in presenza di episodi di estrema pericolosità, ricordo quanto accaduto a Colleferro dove ha trovato la morte il povero Willy Monteiro Duarte. Sono allarmanti sia sotto il profilo della sicurezza – ha proseguito Calcaterra – che di quello dell’ordine pubblico. A Gallarate decine di ragazzi si sono riversati in centro di venerdì pomeriggio armati pronti alla rissa. Rissa che avrebbe potuto coinvolgere magari anche terze persone; penso a una mamma a passeggio con il figlio, a delle persone anziane». Calcaterra aggiunge che «Deve essere chiaro che questi episodi si verificano nonostante il Covid, non a causa del Covid. E altrettanto chiara, come in questo caso, deve essere la risposta delle istituzioni. Una risposta ferma: il messaggio deve arrivare dritto a chi crede, sbagliandosi, di poter restare impunito. Non è così». E per la prima volta in provincia di Varese il Questore ha notificato a 26 dei 30 indagati proprio il Daspo Willy.

Ora tocca alle famiglie

E una risposta deve arrivare anche dalle famiglie. In questo caso la vicenda gallaratese presenta due aspetti molto differenti tra loro: «Questa mattina, all’atto dell’esecuzione delle 17 ordinanze di custodia cautelare, in un caso i genitori del destinatario non volevano aprire la porta di casa – ha spiegato il pubblico ministero – Sul fronte opposto quando i ragazzi si sono resi conto di essere estremamente riconoscibili dai video pubblicati dai media ovunque si sono preoccupati del grande impatto mediatico ottenuto dal fatto. Erano preoccupati in particolare della reazione che i famigliari avrebbero avuto riconoscendoli». E questo dà speranza sulla possibilità che, accanto all’intervento deciso dello Stato visto oggi, vi sia anche quello dei genitori.

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