Grassi, il re delle divise hi-tech a capo degli industriali. Tra sfiducia e attese

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LONATE POZZOLO – Sfiducia. E’ la parola che Roberto Grassi, 54 anni, a capo dell’azienda di famiglia che dal 1925 produce divise e dallo scorso 27 maggio presidente dell’Unione degli Industriali della provincia di Varese, pronuncia con un segno di disappunto sul viso. Sfiducia verso il contesto politico italiano, che tiene a distanza il mondo imprenditoriale e la sua associazione di categoria, Confindustria. Sfiducia per un mancato dialogo che frena lo sviluppo economico e produttivo, con scontati quanto inevitabili ritorni negativi a tutto tondo. Sfiducia per quanto si potrebbe e si dovrebbe fare a livello romano sul versante fiscale e legislativo e invece “si continua con una perenne campagna elettorale impostata sui like”.

Più di 1500 dipendenti

Grassi incontra Malpensa24 nella sua azienda lonatese. Dalle vetrate della sala riunioni si vedono gli aerei “in finale” sulla pista del contiguo aeroporto della brughiera. Una processione infinita di velivoli che atterrano sorvolando oramai a bassa quota parte del parco che ospita la fabbrica. Un grande giardino attrezzato con un percorso vita e un’oasi relax destinati ai 110 dipendenti della “casa madre”, il cuore pulsante e il cervello della società per azioni con sedi anche in Romania (800 dipendenti), Tunisia (500), Albania (150). “All’estero – spiega Roberto Grassi – operiamo solo sulla confezione dei nostri prodotti, il centro ricerca e tutto quanto riguarda amministrazione e marketing sono concentrati a Lonate”.

Le tute con i sensori salvavita

Proprio attorno alla ricerca veleggia la Grassi Spa. Più di 60 milioni di fatturato stimati per l’anno in corso, clienti come i vigili del fuoco, l’esercito, la polizia, i carabinieri, la guardia di finanza, le ferrovie e, attenzione, l’esercito francese col quale ha vinto la fornitura delle divise. Abbigliamento hi-tech, con tessuti innovativi, di ultimissima generazione. Un’evoluzione 4.0 dell’industria tradizionale tessile. “Noi veniamo da lì” precisa subito il presidente della società ricordando il nonno, il papà e lo zio. Terza generazione, la sua, di imprenditori nati a Busto Arsizio,“la Manchester d’Italia” sottolinea con orgoglio Grassi prima di illustrare alcune eccellenze della produzione, frutto dell’ingegno di un’imprenditoria all’avanguardia e della collaborazione con i ricercatori dell’Università Liuc. Prodotti come le tute per i vigili del fuoco, dotate di sensori e di strumenti d’allarme per segnalare i battiti cardiaci, la frequenza respiratoria, la temperatura corporea, i dati biometrici. O i giubbetti antiproiettile studiati e realizzati a Lonate Pozzolo, acquistati dalle forze dell’ordine che li preferiscono di gran lunga ai giubbetti di fabbricazione israeliana o americana. Insomma, un’azienda in crescita (“Stiamo assumendo, rimpiazzando i lavoratori che via via vanno in pensione”), gioiello del manifatturiero di casa nostra, al vertice del sistema produttivo italiano. Per dirla in un altro modo, un’azienda leader nel suo settore in Europa che, innovandosi, ha sconfitto i rigori della drammatica crisi del tessile e della spietata concorrenza dei Paesi asiatici,

Il manifatturiero in un angolo

Non a caso, Roberto Grassi, è stato indicato come nuovo presidente di Univa, dopo il proficuo e intenso mandato di Riccardo Comerio. Un incarico maturato al termine di un lungo percorso ai vertici confindustriali, che cade nel mezzo di una congiuntura oggettivamente difficile, per tutto quel che si sa e per quanto ancora di negativo potremmo aspettarci. “Il comparto manifatturiero – incalza il nostro interlocutore – è decisivo per tutto il sistema paese. Gli imprenditori hanno un innegabile ruolo sociale. E invece…”. Invece? “Il governo pare non accorgersene. Gli esempi sono parecchi. Prendiamo il Decreto crescita: non ha scaricato nulla a terra per le aziende. Certo, si cresce dello zero virgola. Niente in confronto ad altre nazioni che riportano percentuali a due cifre”.

“L’impresa manifatturiera – continua Grassi – dovrebbe essere messa al centro dei programmi di sviluppo. Non è così. Basti pensare al cuneo fiscale, al costo del lavoro che ammazza le aziende. Nella speranza che non si finisca per aumentare l’Iva, allora sì andremmo incontro a un vero e proprio dramma. (…) Sarei contento se fosse possibile mettere nelle buste paga il trenta per cento in più. Perché, credo sia desiderio di ogni imprenditore garantire sostenibilità economica ai propri collaboratori. E assieme alla sostenibilità economica anche un posto di lavoro sicuro”.

Europa e infrastrutture

Temi noti, reiterati da Confindustria nelle diverse occasioni di confronto pubblico, sottolineati anche nell’annuale assemblea di Univa, il 27 maggio scorso a Malpensafiere, alla presenza del presidente Vincenzo Boccia. Temi che tengono banco da sempre, inascoltati. Come sembra essere poco recepito nei Palazzi romani il discorso delle infrastrutture, un altro degli argomenti che tengono alto l’interesse degli imprenditori. Anche e soprattutto qui nel Varesotto. Di nuovo Grassi: “In provincia abbiamo qualcosa come 1164 industrie iscritte a Univa, per un export che supera i 10 miliardi di euro in merci. Da qualche parte devono pur transitare queste merci. Penso alla Pedemontana, alla stessa Malpensa, all’Alp Transit e, di conseguenza, alla Tav. Opere irrinunciabili, che un governo avveduto dovrebbe spingere e p ortare a conclusione. L’aeroporto si è dovuto reiventare da solo, per dire di un aspetto del problema. Ora marcia spedito, e per fortuna: Malpensa è la più grande azienda della nostra zona per numero di lavoratori e per l’indotto. Chi in passato ha cercato di depotenziarlo si è reso autore di un grave errore. Ora con il Decreto sblocca cantieri potrebbero finalmente esserci interessanti novità per le infrastrutture, staremo a vedere”.

Poi l’Europa, la necessità di rimanere agganciati all’Unione europea. “D’accordo, è necessario rivedere alcune regole, ma guai se pensassimo di abbandonarla. L’Unione l’abbiamo praticamente fatta nascere anche noi italiani, dobbiamo semplicemente sostenerla, migliorandola. Senza dimenticare un particolare tutt’altro che insignificante: la stragrande maggioranza del nostro export è destinato proprio ai Paesi europei. Perché dovremmo farci del male da soli?”

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