I lampioni di Busto e la politica che non riconosce i propri errori

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I lampioni di Richino Castiglioni rimossi dal centro storico di Busto Arsizio

Nel mezzo di crisi di ogni tipo, economiche, umanitarie, sociali, politiche, sopra le quali domina la minaccia di una terza guerra mondiale, con parlamentari che, a Roma, pensano alla loro pagnotta piuttosto che a quella di tutti gli italiani e, in modo irresponsabile, sparigliano; nel mezzo di tutto ciò ci occupiamo di una vicenda di sottofondo, quanto di un modo emblematico di intendere l’attività pubblica: la rimozione dei lampioni dell’architetto Richino Castiglioni dal centro storico di Busto Arsizio. Decisione che definisce l’insensibilità o, bene che vada, la disattenzione, prossima alla sciatterie, di una giunta civica. Nel caso, quella bustocca, ma il discorso che vorremmo fare ci porta un po’ più là. Proviamo a spiegare dove e perché.

Chi ha letto i giornali in queste ultime settimane, è al corrente dei lavori per la nuova illuminazione della città di Busto. Così, senza dire né se né ma, è stato dato via libera alla sostituzione dei lampioni disegnati una trentina d’anni fa dall’illustre architetto, armonizzati con il contesto urbano. Che siano piaciuti oppure no (il gusto estetico è soggettivo) i lampioni avevano una motivazione architettonica precisa, importante, una firma autorevole per l’intera città. Anche per questo meritavano rispetto: rispettando la loro funzione, non solo per illuminare piazze e vie, si sarebbe rispettato il loro autore. Per altro riconosciuto a livello nazionale come uno dei più significativi del secolo scorso. Invece, via tutti per installare manufatti industriali, senza un’anima, ci verrebbe da scrivere.

Appunto, senza un’anima, come chi ha permesso un simile scempio. Le critiche, piovute da ogni dove, sono state poi rintuzzate con straordinarie arrampicate sui vetri. Dalle quali si percepisce l’intenzione netta di non porre alcun rimedio all’errore. Di più, neanche di riconoscerlo come tale. A conferma di come la politica, una certa politica, non sappia fare ammenda dei propri sbagli ma, anzi, persevera, infischiandosene di quanto le gira attorno.

Da Palazzo Gilardoni ci è stato detto che non si possono sprecare soldi per tornare sui propri passi. E che, quindi, bisogna lasciar perdere. Beccatevi lo scempio, e zitti! Non abbiamo contezza, ma anche sì, di come spendono i denari della collettività gli amministratori di Busto (milioni gettati al vento per una causa a Londra sui derivati!). Sappiamo pure che nessuno chiederà mai scusa. Ma l’imbarazzo emerge chiaramente dalla notizia data dall’assessore alla Cultura Manuela Maffioli, che il Comune sta dialogando col Politecnico di Milano per rendere omaggio alla figura di Castiglioni. Una contraddizione evidente. E una conferma indiretta che a Palazzo ci si è resi conto dello sbaglio, da un lato si cancella un pezzo di storia, dall’altro la si vuole esaltare.

Attenzione, a Busto c’è anche chi fa il buonista per opportunità e minimizza con l’idea che, tanto, prima o poi, ci si abituerà ai nuovi lampioni. Una scemenza che nega il valore culturale e urbanistico del centro storico bustocco, per ridurre il tutto a una questione di abitudine. La stessa abitudine che condiziona la politica, non solo quella bustocca: negare l’evidenza, non riconoscere mai i propri errori, rigettare la palla nel campo avversario o, peggio, evitare di giocare, dissimulando e facendo finta di nulla per passare il cerino nelle mani di qualcun altro. Certo, per chiedere scusa bisogna essere dotati di onestà intellettuale che, di solito, fa coppia col coraggio delle proprie azioni. Insomma, bisogna avere la stoffa. Che nessuno ti dà, se non ce l’hai.

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