L’immortalità, i dolori forzati e la buona medicina

caffè pellerin

di Ivanoe Pellerin*

Cari amici vicini e lontani, la richiesta alla medicina di fare sempre di più per guarire, per prolungare la vita, per assicurare l’immortalità, proviene dagli uomini e dalle donne del nostro tempo. Noi non accettiamo più di morire. Abbiamo rimosso la cultura della morte intesa come un momento della nostra vita, caricando la medicina dell’attesa dell’immortalità. Chiediamo oggi alla medicina quello che una volta si chiedeva alla religione, quasi che la medicina sia diventata la nostra “religione laica” ed i medici i sacerdoti di questa religione. Così afferma Sandro Spinsanti, noto colto e ottimo amico. In questo incontro fatale fra una domanda e un’offerta speculari ne fa le spese soprattutto chi ha bisogno di una medicina diversa. Affermo da molti anni che non esiste l’incurabilità, esiste l’inguaribilità. E proprio l’inguaribile ha bisogno di cure assolutamente personalizzate, adatte alla propria situazione clinica e personale che tenga conto delle sue caratteristiche che lo fanno persona unica e irripetibile.
Ecco che entrano in campo le Cure Palliative e la Terapia del Dolore che tengono conto sì della malattia ma in egual misura anche delle sofferenze, che comprendono che ad un certo punto la priorità non è più la lotta a oltranza contro il malanno o contro l’inevitabile morire, ma diventa l’accompagnamento, l’ascolto, la considerazione che la persona è viva e importante fino all’ultimo respiro.
È per questo che anche il problema del controllo del dolore ha acquisito un’importanza sempre maggiore negli ultimi anni nel quadro di una cultura medica sempre più orientata alla cura della persona piuttosto che a quella della malattia. Una grande rivoluzione culturale almeno paragonabile a quelle delle rivoluzioni tecnologiche biomediche. È possibile una malattia senza dolore? È possibile sottrarre il malato ai “dolori forzati”? Per anni il dolore è stato relegato ad un sottoscala sanitario poiché razionalmente ricondotto alla patologia o alla sua cura.   Il riconoscimento che il dolore rappresenta uno degli aspetti più profondi e più intensamente soggettivi della storia naturale della malattia ha cominciato a cambiare l’approccio terapeutico e relazionale al paziente solo in questi tempi recenti. Di più. Il riconoscimento che la percezione soggettiva di benessere del paziente condiziona fortemente l’esito delle cure e che l’attenzione al cittadino è il primo mandato della pubblica amministrazione ha fortemente contribuito allo sviluppo delle équipes di Terapia del Dolore e di Cure Palliative.
 In questa visione la Medicina Palliativa non è un’altra medicina: è “la medicina”. L’intervento curativo e quello palliativo, più che voltarsi reciprocamente le spalle, come le due facce del mitico Giano, dovrebbero integrarsi collaborando. Ci sono già ottime esperienze in proposito che hanno un nome e un cognome: “Cure Simultanee”. Il modello ideale sono le Cure Palliative che iniziano precocemente affiancando le terapie curative e si estendono progressivamente quando queste ultime perdono la loro efficacia e diventano controproducenti. Un mio caro amico, che ha fatto parte del nostro sparuto gruppo di pionieri, Franco Toscani, ha così rievocato gli inizi: “Eravamo veramente in pochi a spargere in Italia la buona novella: pochi, eccentrici, idealisti e folli, rinnegatori nei fatti delle proprie origini di anestesisti, oncologi, psicologi.”
Cari amici vicini e lontani, questa è la storia di un pezzo della nostra e vostra medicina che non finisce qui. La storia continua doverosamente e faticosamente poiché i cattivi pensieri dimorano a lungo soprattutto nelle menti scarsamente preparate di alcuni medici e di alcuni gestori della salute pubblica. Ma noi saremo lì a sostenere e a divulgare un nuovo modo di fare “buona medicina”.

*già direttore dell’Unità Operativa Complessa di Cure Palliative e Terapia del Dolore dell’ospedale di Legnano

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