Messina, Laveno: la Lega e i due ponti

ponte messina laveno
Il lago Maggiore visto dalla funivia di Laveno

di Massimo Lodi

Può essere un’idea ok, quella del Ponte sullo Stretto di Messina. Al netto di sarcasmi, carrozzoni amministrativi finiti sul binario morto, promesse pluridecennali in archivio, il progetto resta un’ipotesi sensata/virtuosa. Purché attendibile, cioè col supporto di seria determinazione politica, mezzi economici accertati, disegno d’insieme visionario. Ovvero: si fa il Ponte allo scopo di riunire meglio l’Italia, assorbire il Sud arretrato nella modernità del Nord, compiere un’impresa ingegneristica che sottende intenti culturali, sociali, ambientali e infiniti, ulteriori “ali”.

Perciò Salvini che illustra da Vespa il plastico dell’opera magna non è da irridere, se davvero utilizza strategia infrastrutturale anziché parole destrutturate: di fronte a una volontà corale (ministro più premier più sostegno interpartitico più forze imprenditoriali) la realizzazione sarebbe fattibile. Altrimenti risulterebbe la tradizionale sparacchiata del propagandismo finalizzato a mascherare carenza d’incisività governativa su fronti vari.

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Massimo Lodi

La convenienza di Paese auspica un Salvini che creda a sé stesso, e abbia la capacità/le risorse di avviare, condurre, perfezionare -senza spreco alcuno, guai se no- un disegno da lui pubblicamente aborrito nel 2016. Sosteneva: prima risolviamo le infinite questioni dell’arretratezza endemica nel Mezzogiorno; poi semmai, magari, forse tentiamo la faraonica intrapresa. Ora pérora la causa opposta: l’intrapresa faraonica produrrebbe lavoro immediato, e che lavoro; favorirebbe la soluzione d’antichi e collaterali problemi viari/trasportistici; riunirebbe la Sicilia al Continente modernizzandola in ogni dove e in ogni modo, con ricchezza aggiunta per i residenti e turismo più comodo per i visitatori; ne verrebbe un impulso allo sviluppo così intenso da muovere a similari, ardite spinte d’innovazione in tutt’Italia. Ergo: diamo a Salvini retta e corda, fino a prova contraria.

Nelle more dell’attesa, il tema muove a un riflesso locale, lombardo, varesino. Anche qui si è discusso, né ieri né l’altro ieri ma in un passato di cui esiste storico ricordo, dell’opportunità d’un Ponte sull’acqua. Di lago e non di mare. Il luogo era lo Stretto fra Laveno e Intra (di Stretto vale argomentare, considerata la distanza tra le due sponde del Lago Maggiore, equiparabile a quella Reggio Calabria/Messina). Già alla fine degli anni Trenta Giovanni Bagaini, fondatore della Cronaca Prealpina, propose l’avveniristico manufatto; in seguito ne fu rilanciata l’intuizione, sollecitando le amministrazioni civiche e i ras politici a esaminare il suggerimento. Niente da fare. Mai e poi mai. Neppure quando il partito d’un Salvini allora giovincello dominava, col resto del centrodestra, a Varese e a Verbania -dirimpettaie nel lembo di Verbano interessato all’unione stradale/ferroviaria- ed esercitava il potere, un grande potere, a Milano Pirellone e a Roma Chigi. Fu un’occasione perduta, con grave danno e rimpianto locale. Lezione che si spera almeno utile a non ripetere l’errorissimo, milleduecento chilometri lontano da qui. Forza con le campate d’acciaio, dopo la debolezza da campati in aria.

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