VISTO&RIVISTO Una sogliola alla mugnaia ci salverà la vita

minchella allen visto rivisto

di Andrea Minchella

VISTO

RIFKIN’S FESTIVAL, di Woody Allen (Stati Uniti-Spagna-Italia 2020, 92 min.).

Woody Allen ci regala un importante e sincero bilancio della sua vita. Sembra quasi che ci voglia rendere partecipi di una sorta di “testamento artistico” in cui decide di mettere in risalto tutto ciò che lo ha influenzato, interessato ed appassionato. Il regista newyorkese decide, tra l’altro, di stilare una classifica dei maestri che lo hanno segnato. Decide di mettersi a nudo come, forse, non aveva mai fatto fin qui.

Quindi, per prima cosa, non recita ma si limita a dirigere il suo alter ego, come ha già fatto in altre sue produzioni. Wallace Shawn, nei panni del professore di cinema Mort Rifkin, è il perfetto “avatar” dell’autore eccentrico: stessi tic, stessa corporatura, stessa dolcezza nei movimenti. Poi, Allen scrive una storia il cui cardine è il cinema. Parlando di cinema può distinguere il bel cinema da quello pretenzioso e superficiale. Decide quindi di ambientare la vicenda lontano dagli Stati Uniti che sempre più sembrano non soffrire la vita privata dell’artista. Allen decide di girare a San Sebastien cercando di avere la giusta distanza verso la sua New York e verso le capitali europee che sempre lo hanno stregato e attirato. La vicenda, molto semplice e asciutta, si svolge durante un festival di cinema molto importante. La moglie di Mort, Sue, ha un’agenzia di artisti e promuove il giovane regista francese Philippe, di cui si innamorerà. Mort, annoiato da troppa pretenziosità che avvolge certo cinema di cui Philippe sembra essere un ottimo creatore, crede di stare male e cerca un medico nella zona. A visitarlo sarà un affascinante medico spagnola di cui Mort si innamorerà. La vicenda, tra sogni e realtà, si snoda dunque tra amori che finiscono e passioni che nascono.

Seppure gli Stati Uniti vantano registi del calibro di Frank Capra, John Ford, Fleming o Lean, Allen decide, con questa pellicola, di rendere omaggio al cinema che più lo ha appassionato ed influenzato: il cinema europeo. Talmente è grato a questa cinematografia che decide, in maniera intelligente, di inserire nei sogni ricorrenti del protagonista delle vere e proprie ricostruzioni di sequenze che hanno reso i registi europei delle incontrastate divinità. Si passa dall’ onirico “8e1/2” di Fellini all’angosciante “Quarto Potere” di Orson Welles. Dall’intimo “Un Uomo, Una Donna” di Claude Lelouch al travolgente “Jules e Jim” di Francois Truffaut. Allen poi ci catapulta nella sequenza innovativa di “Fino all’Ultimo Respiro” di Godard, per poi raccontarci la modernità della sequenza di “Persona” di Ingmar Bergman. Il regista continua citando “Il Posto delle fragole” e “L’Angelo Sterminatore” fino ad arrivare alla “resa dei conti” con la morte. Il finale della narrazione non poteva che scomodare il capolavoro di Bergman “Il Settimo Sigillo” in cui uno straordinario Christoph Waltz gioca a scacchi con uno scettico e stanco Mort Rifkin.

Quarantottesima pellicola di Woody Allen, “Rifkin’s Festival” diventa una narrazione senza filtri del pensiero di Allen. Come nell’”Ulisse” di Joyce, più volte citato da Mort che vorrebbe scrivere un romanzo all’altezza di Joyce, anche qui il protagonista diventa l’incarnazione del flusso di coscienza dell’artista eccentrico ed intimista. Tra ironia e verità conosciamo qualcosa di più di Allen tanto infatuato della forma e della teatralità, che provengano, esse, dal cinema, dalla religione o dall’amore. O dall’imbarazzo smorzato dall’ordinazione di una sogliola alla mugnaia.

***

RIVISTO

HOLLYWOOD ENDING, di Woody Allen (Stati Uniti 2002, 112 min.).

Film incentrato sul cinema. Allen confeziona una dissacrante e assurda commedia sul cinema americano e sulla sua contraddizione. Allen, nei panni del regista Val Waxman, ci racconta della crisi artistica e della “cecità” che un certo tipo di cinema possiede per poter meglio piacere alle masse. Solo Allen poteva raccontarci di un regista che, dopo un lungo periodo di inattività, riesce a farsi affidare un vero film, grazie alla sua ex moglie, che però dovrà dirigere senza poter vedere. Infatti proprio il primo giorno di riprese Val scoprirà, suo malgrado, di soffrire di una sorta di cecità “isterica” dovuta ad un blocco psicologico di ignota provenienza. La pellicola, come sempre equilibrata e ben scritta, si muove tra le difficoltà di Val nel terminare le riprese e le sue relazioni sempre difficili e, spesso, fonti di stress. Da rivedere e rigustare.

minchella allen visto rivisto – MALPENSA24