Monteviasco, processo per la morte di Silvano Dellea: «Ci sono cento strade per assolvere»

VARESE – Ci sono «almeno cento strade» per assolvere gli ingegneri finiti a processo con l’accusa di omicidio colposo per la tragica morte di Silvano Dellea, capo servizio della funivia di Monteviasco, deceduto il 12 novembre 2018 durante un controllo sulla linea.

Lo ha affermato nella sua arringa l’avvocato Massimo Mussato, difensore di due dei nove imputati nel procedimento che – dopo le nove condanne chieste dalla Procura – è giunto alle battute conclusive nella mattinata di oggi, sabato 28 settembre, in tribunale a Varese.

Il legale ha usato questa frase ad effetto per evidenziare il valore probatorio dell’elenco di situazioni e comportamenti – emersi dall’indagine e dal dibattimento – che dovrebbero dimostrare l’insussistenza della tesi accusatoria, basata in sintesi su un impianto – la funivia che conduce al piccolo borgo montano – che non era sicuro il giorno dell’incidente mortale.

Il comportamento di Dellea

A incidere irrimediabilmente sulla tragedia fu il comportamento di Dellea, non quello delle persone rinviate a giudizio: questa la versione di Mussato, difensore di due tecnici di Ustif, all’epoca dei fatti ufficio territoriale del Ministero dei Trasporti.

Dellea quel giorno viaggiò imbracato all’esterno della cabina, dalla stazione a monte a quella di valle, per fare un controllo. Avrebbe dovuto stare all’interno del mezzo, secondo il regolamento d’esercizio, ha sottolineato il legale in aula; e non avrebbe dovuto mandare a casa l’agente di stazione che al suo arrivo a valle, in caso di emergenza, avrebbe potuto bloccare la cabina premendo un pulsante. E il corpo di Dellea fu trovato proprio a fine corsa, privo di vita e schiacciato tra la cabina e una passerella laterale della stazione.

«Il terrazzino non serviva»

Ininfluente, per il difensore, il fatto che la cabina fosse sprovvista di un terrazzino esterno per proteggere il capo servizio: «Non serviva per le verifiche di Dellea, e all’impianto era comunque presente una versione rimovibile del terrazzino, prevista dalla legge come alternativa a quella fissa».

Il manufatto è al centro della tesi accusatoria, come prova di una carenza a livello di sicurezza, a fronte della quale la funivia era comunque stata ritenuta in regola nell’ultima revisione. Sul punto l’avvocato Mussato non ha usato mezzi termini, e ha messo in dubbio la preparazione del consulente della Procura che aveva accertato l’inidoneità del terrazzino mobile, come alternativa a quello fisso, senza nemmeno montarlo durante le indagini.

Le competenze di Ustif

Quanto all’Ustif e ai suoi tecnici imputati, la competenza dell’ufficio – secondo il difensore – si fermava alla sicurezza dei trasportati, e non riguardava dunque la sicurezza del personale dell’impianto, ad ogni modo carente in base a quello che si è appreso dalle testimonianze: alcuni dipendenti, tra cui lo stesso Dellea, si erano visti costretti ad acquistare autonomamente i dispositivi di protezione individuale da usare nei controlli.

Le altre posizioni

Alla richieste assolutorie per i due ingegneri di Ustif si sono aggiunte, sempre in mattinata e sempre seguendo la tesi del grave e imprevedibile comportamento messo in atto da Dellea il 12 novembre 2018, quelle per l’allora direttore dell’esercizio della funivia (difeso dall’avvocato Fausto Cisi) e per il progettista della revisione generale (difeso dagli avvocati Giorgio Tarabini e Cristina Gotti).

La sentenza

La parola passa ora al giudice Marcello Buffa per la sentenza. Il ritorno in aula è fissato all’inizio di dicembre. Il verdetto arriverà a cinque anni di distanza dalla morte del manutentore, che era un uomo conosciuto e stimato tra la Valdumentina e Luino.

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