Pandemia, non basta più cantare dai balconi

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Quel giorno, esattamente due anni fa, s’inaugurava la nuova caserma dei carabinieri di Busto Arsizio. Attilio Fontana, governatore lombardo, era presente alla cerimonia, ma i suoi pensieri erano giustamente rivolti a Codogno. La notizia del primo caso in Italia di Coronavirus suonava come un campanello d’allarme, in pochi ci facevano ancora caso, ma per le autorità regionali, non solo quelle sanitarie, la situazione si fece subito preoccupante. Fontana lasciò di tutta fretta Busto Arsizio, per correre a gestire un evento che avrebbe potuto, com’è purtroppo poi accaduto, avere sviluppi pesanti, addirittura drammatici.

Sono passati due anni. Sappiamo tutti com’è andata, quali e quanti effetti ha provocato il Covid, e non è ancora finita. C’era chi cantava dai balconi e scriveva “andrà tutto bene” nel tentativo di esorcizzare il virus a fronte di un clima cupo, soprattutto in Lombardia. Le immagini dei camion dell’esercito che, a Bergamo, trasportavano le bare delle vittime di una malattia fino a quel momento sconosciuta entrarono nelle nostre case come un fendente al cuore. Che ci fosse poco o nulla per cui cantare apparve subito palese. Non a tutti, però. Al punto che anche oggi, dopo tutto quel che è successo, c’è chi nega l’evidenza. Incredibile, ci verrebbe da dire se non fosse che certe manifestazioni di scetticismo totale, di indisponibilità ai vaccini, di contrasto eccessivo al green pass, sono diventate il controcanto alla scienza e agli sforzi per contenere e, infine, sconfiggere il Covid. Appunto, incredibile.

Tutto già detto, tutto risaputo. Come le polemiche sulla gestione della pandemia in Italia e in Lombardia; come le inchieste giudiziarie di questi ultimi mesi; come gli errori commessi all’inizio dalle istituzioni (e dalla politica); come lo strapotere televisivo dei virologi (questi sconosciuti); come la cosiddetta infodemia, cioè l’accavallarsi di notizie fino alla confusione totale; come i passi da gigante della scienza con i vaccini e, ora, speriamo, con le cure; come le cause più o meno sconosciute dell’epidemia in Cina e poi della pandemia; come lo spirito di abnegazione di medici, infermieri e volontari; come le aspettative per il futuro, ora che, a quanto sembra, stiamo uscendo dall’incubo.

Ecco, il futuro. C’è da domandarsi se e come il virus abbia cambiato le nostre vite, se siamo finalmente consapevoli di una finitudine ineluttabile e, quindi, della nostra fragilità. Persino a causa di un nemico invisibile, fino a qualche tempo fa ignoto e ancora in parte misterioso. Abbiamo dovuto responsabilizzarci per combatterlo, assumere atteggiamenti che, a qualcuno, anzi, a molti, sono parsi vessatori, obiettivo di un non meglio definito complotto dei “poteri forti”. Invece è soltanto un agente virale, non sappiamo ancora se sfuggito alla mano dell’uomo o di origine naturale. Qualunque fosse la sua fonte dovrebbe aiutarci a riflettere e a diventare migliori. C’è chi sostiene che con il Coronavirus la natura abbia inteso vendicarsi degli scempi compiuti dall’umanità. Un’esagerazione, un’iperbole? Può essere. Certo è che due anni dopo il contesto sociale è quello che è, addirittura peggiorato, secondo gli esperti, dai lockdown e dalle restrizioni. Ce ne dobbiamo fare una ragione? La risposta è soggettiva, non c’è dubbio. E sicuramente, per migliorare le cose, non è sufficiente tornare a cantare dai balconi.

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