Politica stupida o stupida politica. E la meritocrazia calpestata

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Un capolavoro di Magritte dal messaggio ermetico. Anche contro la stupidità?

Sono giorni movimentati per la politica in provincia di Varese. Fibrillazioni dovute, diciamo così, al piccolo cabotaggio e non a situazioni amministrative o di rapporti difficoltosi tra i partiti, al punto da rischiare sconquassi di alleanze e giunte. Al massimo si rischia la faccia, la qualcosa è secondaria per i protagonisti della vita pubblica nazionale, figuriamoci per quelli locali. Una serie di epigoni scilipotiani (Domenico Scilipoti, ricordate?) pronti a traslocare da un partito all’altro con l’obiettivo, addirittura, delle elezioni europee. Un maestro di questo genere di traslochi è Marco Colombo, sindaco di Daverio, che dopo essere stato leghista, poi sodale al piddino Umberto Ambrosoli (candidato alla presidenza della Regione Lombardia contro Roberto Maroni), per poi avvicinarsi al movimento di Irene Pivetti e, infine, avviare, assieme ad altri, il gruppo civico di Eupolis, si è ora tesserato con Fratelli d’Italia. Un imbattibile campione del trasformismo che, a un certo punto, è riuscito ad aggregare attorno a sé uno speranzoso gruppo di amministratori del Varesotto, per poi passare oltre. A caccia di poltrone.

Discorso a parte per Letizia Moratti, in corsa a febbraio per la presidenza della Regione con una sua lista appoggiata dal cosiddetto Terzo Polo, ora tornata in Forza Italia con somma sorpresa e disappunto dei tanti che, in provincia di Varese e non solo, le avevano dato sostegno.

A Fratelli d’Italia, il partito che va a gonfie vele, guardano in molti in ossequio al “carro dei vincitori” sul quale salire. A Busto Arsizio, la città che offre diverse occasioni del basso profilo politico, si è prontamente iscritto ai Fratelli l’ex leghista Max Rogora, incontenibile e inesauribile consigliere comunale che, come ultima impresa, ha dato del pirla… al Re. Si è scatenata una canea subito spenta da un’altra genialata di marchio centrodestra: la pubblicazione dell’esponente meloniano Francesco Attolini sul suo profilo Facebook di un’immagine di Adolf Hitler. Proprio nel giorno del proditorio e sanguinoso assalto di Hamas a Israele. Alla levata di sdegno generale, compresa la richiesta di dimissioni, Attolini ha risposto irridendo, con un’alzata di spalle: “Quello non era Hitler, ma ciascuno poteva immaginare altro: Charlie Chaplin o Guido Nicheli, lo Zampetti dei Ragazzi della Terza C, qualcun altro ci vede un’iguana o l’euro”. Per noi era l’orso Yoghi con il suo compagno Bubu. Un cartone animato, come sembra essere certa politica che, invece e purtroppo, è ben altro.

A tutto ciò, possiamo aggiungere un altro consigliere comunale bustocco, Matteo Sabba, che durante una recente assemblea civica ha dichiarato papale papale che “non farò mai nascere mio figlio all’ospedale di Busto: non mi fido”. Massima libertà, ci mancherebbe. Ma la sua affermazione contribuisce, da un pulpito istituzionale, a gettare altro discredito sul nosocomio bustocco: siamo in consiglio comunale, non al bar sport. Scontati i ritorni negativi sull’opinione pubblica del messaggio che passa.

La sensazione è che trovino credito rappresentanti delle istituzioni che non si rendono conto delle conseguenze delle loro azioni. Attolini, per esempio, sostiene che voleva soltanto scherzare, anche se, scherzare sul nazismo in un momento tragico come l’attuale, fa ribrezzo. Ma anche costoro sono coloro ai quali abbiamo delegato la gestione della cosa pubblica. Nella tanto vituperata Prima Repubblica, certe situazioni non erano concepibili. Oggi c’è chi “lascia fare”. E tace. Forse perché è difficile trovare nella nuova politica autorevolezza vera e riconosciuta. Così, in scia al quieto vivere, tutto va bene madama la marchesa. Segno dei tempi, segno di un sistema in crisi d’identità e di personaggi con competenze operative e culturali. Però il refrain che va per la maggiore contiene la parola me-ri-to-cra-zia. La contiene, appunto. Nel senso che i politici meritevoli (e per fortuna ce ne sono) sono spesso al centro del mirino dei loro colleghi meno attrezzati. Per invidia, per frustrazione, per stupidità politica. Una cifra, la stupidità, che oramai ha il sopravvento, dappertutto, o quasi.

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