Quirinale, il senso di responsabilità della politica

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Dobbiamo essere sinceri: personalmente non ci appassiona più di tanto la bagarre politica attorno all’elezione del presidente della Repubblica. Siamo in difetto: prima come cittadini, poi come giornalisti, dovremmo invece essere partecipi di un momento decisivo per il futuro del Paese. La scelta della donna o dell’uomo che rappresenterà l’unità nazionale e tutti noi per i prossimi sette anni equivale allo snodo più importante per la vita della collettività e, quindi, della nazione.

Siamo in difetto, ribadiamo. Colpa del disincanto di fronte a una politica pasticciona, litigiosa, arruffona, piena di sé nonostante sia quasi sempre inconcludente. Al punto da indurci a ritenere che anche in questo caso, un solenne caso, la politica finisca per rimestare nel torbido, senza percepire che non sono le appartenenze a fare la differenza nell’individuazione del nuovo inquilino del Quirinale, ma il suo prestigio. In altro modo, il suo “cursus honorum”, la sua autorevolezza, il suo senso etico, l’equilibrio. Qualità alte, forse troppo alte per chi, a Roma, si dibatte nella ricerca di un nome condiviso, che metta tutti d’accordo, a cominciare dagli italiani a cui fanno riferimento i 1009 grandi elettori che da lunedì si ritroveranno a Montecitorio per decidere il successore di Sergio Mattarella.

Impresa tutt’altro che facile, la loro, alla luce delle aspettative delle segreterie partitiche, delle velleità personali di qualcuno, dei voti in libertà di quei parlamentari che non rispondono a nessuno se non a loro stessi. Impresa tutt’altro che facile, ribadiamo, sia per la figura del presidente uscente, al quale si riconosce in modo unanime serietà e compostezza istituzionale davvero esemplari, sia perchè i pretendenti al Colle sono tanti, forse troppi e di diversa provenienza per indicarne uno senza suscitare malumori, prossimi a virare in rancori e in future vendette.

Basterebbe pensare a Mario Draghi, figura di incontestabile prestigio (e non dobbiamo spiegare il perché), il nome in assoluto più accreditato per la presidenza della Repubblica. Ma se dovesse salire al Colle, come andrebbe a finire tra i partiti nella formazione di un nuovo governo e, ancora, nella scelta di un premier che unisca e non divida? Vero, lo spauracchio della fine anticipata della legislatura dovrebbe funzionare da deterrente, più ancora della necessità di mettere in cassaforte i soldi del Pnrr ma con un governo affidabile, nel pieno delle sue funzioni, sostenuto se possibile da un patto di legislatura. Basterà tutto questo ad evitare l’uno contro l’altro e, infine, l’implosione del sistema?

La politica ha oggi il dovere di rispondere con serietà alle enormi difficoltà causate dal Covid. Poche chiacchiere, fatti concreti. Anche e soprattutto nella scelta del presidente della Repubblica. A maggior ragione nel momento in cui, dall’estero, riconoscono nell’Italia un modello virtuoso, sia nella gestione della pandemia sia nel rilancio economico. Non era mai accaduto in passato. Per questo, e non solo per questo, il senso di responsabilità dovrà sovrastare qualunque altro sentimento, qualunque altra tentazione di sgambettare gli avversari, se non addirittura gli alleati. Dimostrando invece rapidità e risparmiandoci faticosi, stucchevoli e infinite manfrine a suggello del generale disaccordo. E’ un compito gravoso quello che spetta ai grandi elettori. Un compito complesso, che è però l’occasione per rinnovare un’immagine e cambiare in meglio una sgradevole sensazione. Così che si possa tornare ad appassionarsi alla politica. Forse.

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