Solo l’ingresso tra i soci di Regione Lombardia può salvare Accam

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BUSTO ARSIZIO – Regione Lombardia socio di Accam. E’ questa l’ipotesi, ancora tutta da costruire, alla quale si sta lavorando e che è emersa nell’ultimo incontro tenuto sotto traccia tra esponenti del cda dell’inceneritore, amministratori e tecnici dei Comuni soci. Oltre alla richiesta di deroga da inviare al primo ministro Giuseppe Conte, azione che l’ultima assemblea ha deciso di intraprendere. Da queste due strade passa buona parte del futuro di Accam.

Una doppia via non semplice da percorrere fino in fondo. Anche perché l’esito ormai non dipende più solo dalle decisioni dei 27 Comuni soci. I quali, davanti alla situazione molto complicata e altrettanto delicata, stanno cercando soluzioni da mettere in campo per mantenere la gestione in house. Ma anche per non decretare quella che potrebbe essere lo scenario più tragico.

Momento decisivo

Il parere della Corte dei conti ha scompaginato le certezze dei piani (industriali) e i buoni propositi. Rimescolando di fatto carte e situazioni già delicate, ma che società e soci si erano ripromessi di puntellare con una serie di azioni. Invece no. Quell’input della Corte dei conti che bisogna essere perfettamente aderenti alla legge Madia e rispettare quindi le percentuali di fatturato dei soci per l’in house ha costretto tutti a guardarsi in faccia e cercare di mettere in pista una strategia. Se non l’ultima, la penultima. E, infatti, dopo l’ultima assemblea la parte politica dei Comuni di Accam, ma soprattutto i tecnici si sono riuniti per cercare dipanare la matassa. Con anche l’obiettivo di trovare un punto di incontro tra le procedure societarie e quelle delle amministrazioni. Ed è proprio nella riunione di ieri, lunedì 15 aprile, volutamente tenuta sotto traccia, che è spuntata l’ipotesi Regione Lombardia.

La salvezza passa da Milano

Il punto interrogativo è necessario. Poiché al momento questa è solo un’idea. Tutta da costruire. Che qualora andasse in porto però cambierebbe le soglie percentuali necessarie alla gestione in house, facendo così chiarezza. A oggi, infatti, la situazione è questa: il 70 per cento del fatturato deriva dal conferimento dei Comuni soci, mentre del restante 30 per cento, una buona parte (circa il 17%) sono rifiuti derivanti da realtà di pubblica utilità e quindi, secondo un’interpretazione di massima della normativa, equiparabili all’attività di conferimento dei soci. Questo ragionamento è stato fatto vacillare dalla Corte dei conti. Per tale motivo l’eventuale ingresso in società della Regione darebbe di fatto “un padre socio” a quei rifiuti ospedalieri e sanitari che vengono già conferiti nell’impianto di Borsano. E se così fosse, l’agognato 80 per cento per l’in house sarebbe oltre che garantito, perfino superato. Certo è che però ora bisogna capire se la strategia ha le gambe. E bisogna soprattutto aprire un canale in tal senso con Milano. Ed è qui che la politica deve iniziare a lavorare per costruire condizioni e percorso con Regione Lombardia.

Ma anche da Roma

Nel frattempo si continua a lavorare sul fronte deroga. Necessaria per garantire continuità di servizio e anche più tempo per sistemare la questione dell’in house. Obiettivo sul quale i soci hanno trovato una totale convergenza. Ma non solo. Gli altri nodi da sciogliere riguardano la gestione del rapporto tra società e Comuni in questa complessa fase di transizione e in attesa della risposta da Roma e la questione dei contratti di servizio, già approvati nei consigli comunali, ma ancora da ratificare.

Spada di Damocle

Nessuno ha messo sul tavolo lo scenario che si potrebbe aprire in caso di mancata deroga. Non si sa se per cieca fede nell’iniziativa che si sta mettendo a punto o per timore di ciò che potrebbe accadere. Al momento l’obiettivo è “portarla a casa”. Anche perché senza il via libera del primo ministro davvero Accam potrebbe trovarsi al bivio della scelta tra vita (con cessione o ingresso ai privati) o morte. Nel senso di chiusura.

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