Un muro d’acciaio contro il covid-19

Viaggio nelle imprese in tempi di crisi: la VIAR di Sumirago esporta l'efficienza varesina nel mondo del petrolio e del gas

La Germania ha perso le due guerre mondiali. Fu costretta a risarcire immensi danni. Eppure dopo la grande guerra si riprese in modo vertiginoso, diventando nel giro di una decina d’anni nuovamente la potenza leader in Europa. Stessa cosa dopo la seconda guerra mondiale: il tessuto industriale era stato distrutto dai bombardamenti, il suo territorio spartito fra le potenze vincitrici. Eppure la sua ripresa fu folgorante, diventando rapidamente la locomotiva d’Europa.

Il segreto? Ve ne sono molti. Uno dei principali è indubbiamente il modo di gestire l’industria. Imprenditori e lavoratori, in Germania, hanno sempre avuto la storica abitudine di considerare l’impresa qualcosa di proprio, che li accomuna. Uno stile che richiama, dall’altro capo del mondo, quello del Giappone. Disciplina, propensione alla tecnologia, abilità tecniche, ma soprattutto uno spirito industriale che al posto della conflittualità e dell’antagonismo fra le parti, opera secondo una logica di partecipazione che coinvolge tutti dal presidente all’ultimo degli addetti. E che si traduce in una parola: efficienza.

Abbiamo iniziato un viaggio nell’industria del territorio, in questi tempi di coronavirus, per fotografare la crisi. E il primo dato è che la crisi non colpisce tutti. Ci sono imprese che, pur tra le mille difficoltà generate dalle misure anticovid, tirano dritte come la locomotiva tedesca. Prima tappa è la VIAR Group di Sumirago, un modello di imprenditorialità tutta varesina come pochi ce ne sono a livello nazionale. Duecento dipendenti, una filiera produttiva completa che consente di non dipendere da altri (se non per l’acquisto della materia prima) e quindi al riparo da qualsiasi rallentamento o blocco di produzione. Un’industria pesante, che produce alta tecnologia per l’industria estrattiva (petrolio, gas) ma non solo. I principali stabilimenti e la sede centrale sono a Sumirago. Ad Olgiate, invece, hanno sede gli stabilimenti della Forgiatura Marcora, che fa parte del gruppo Viar. I prodotti sono destinati all’esportazione: Sud-est Asiatico, Paesi Arabi, Americhe, Africa. “La linea di produzione completa e l’esportazione sono i punti di forza che non ci fanno sentire la crisi economica post-coronavirus, se non in misura estremamente limitata – spiegano Davide e Luca Franzosi, titolari del gruppo VIAR – indubbiamente le misure imposte per il contenimento dell’infezione gravano e in un’industria come la nostra siamo nell’ordine di 20mila euro al mese, ma proteggere i nostri dipendenti è un imperativo categorico non tanto dal punto di vista industriale, ma soprattutto sanitario e umano”. Mentre visitiamo la VIAR, arriva il controllo del nucleo carabinieri per la tutela del lavoro – Ispettorato del lavoro di Varese, per l’accertamento sulle misure anticovid. La prefettura di Varese li sta inviando in moltissime aziende del territorio. Un controllo minuzioso che va dalla misurazione della temperatura (e anche i carabinieri non sfuggono al termometro della VIAR) ai distanziamenti degli addetti nelle linee produttive. Tutto perfetto. Le mascherine utilizzate dai dipendenti VIAR sono addirittura griffate.

“I dipendenti sono la parte più importante della nostra azienda” spiega Luca Franzosi mentre ci accompagna in un tour guidato nel cuore pulsante della VIAR. “Per fare gli imprenditori bisogna prima fare gli operai. Prima di acquisire l’azienda da nostro padre, io e mio fratello abbiamo fatto gli operai nelle linee di produzione, ci siamo sporcati le mani per anni, abbiamo vissuto gomito a gomito con i nostri attuali dipendenti, che preferisco considerare collaboratori e colleghi di lavoro. Il lavoro ci appartiene. Poi abbiamo deciso di investire, di crescere, di portare il modello di imprenditorialità varesina nel mondo. E ci siamo riusciti. Senza lasciare però la nostra terra, Sumirago, anzi investendo principalmente proprio qui, grazie anche all’impegno dell’amministrazione comunale, allargando qui la produzione e dando lavoro a un numero sempre crescente di persone sul territorio. Oggi siamo orgogliosi di poter assicurare uno stipendio a oltre 200 famiglie, con un’azienda stabile, solida, ben strutturata”. “Cerchiamo di coltivare le nuove professionalità locali – aggiunge Davide Franzosi – coinvolgendo in azienda molti studenti per l’alternanza scuola-lavoro e offrendo stage agli istituti professionali. Vogliamo formare sul campo quei ragazzi che scelgono l’industria per dare loro concrete opportunità di lavoro per il futuro. Poche chiacchiere e molti fatti”.

Sembrerebbe un film di fantascienza, se non fosse che la visita agli stabilimenti di Sumirago presenta una realtà stupefacente: i rapporti fra vertici aziendali e dipendenti sono effettivamente quelli fra colleghi di lavoro. I dipendenti talvolta consigliano la dirigenza, per potenziare, migliorare, crescere. E la dirigenza fa tesoro, si affida. Il dipartimento di engineering, cioè di progettazione ad alta tecnologia, è una finestra sul futuro: un open space dove in un religioso silenzio creativo più di una decina di ingegneri tracciano ciò che la linea di produzione dovrà poi creare. Ogni schermo di pc mostra l’elaborazione di un pezzo, studiato nei minimi dettagli secondo le indicazioni dei committenti stranieri. Non c’è spazio per errori. E infatti non ci sono errori. Le commesse vengono processate dal dipartimento commerciale, ben segmentato nei box anticovid. L’amministrazione provvede con la massima attenzione alla gestione contabile e finanziaria, non sempre facile visto che l’attività è quasi interamente concentrata sull’export.

La forgiatura dell’acciaio all’interno degli stabilimenti del gruppo VIAR. I prodotti finiti vengono esportati da Sumirago in tutto il mondo e impiegati nell’industria estrattiva (petrolio e gas)

E poi ecco la linea produttiva. Quella di Olgiate, dove vengono forgiati gli acciai, è guidata dall’AD della Forgiatura Marcora, Michele Marcora. Quella di Sumirago da Davide e Luca Franzosi. La prima cosa che colpisce è l’ordine, all’interno del quale operano costosi macchinari ad altissima tecnologia, sotto l’occhio vigile degli operai del gruppo VIAR. “Persone molto in gamba, come tutti gli altri dipendenti, del resto” spiega Luca Franzosi, che ci accompagna: “I metalli per la produzione dei vari pezzi sono differenti e vengono analizzati con strumenti in grado di definirne la precisa composizione molecolare”. Prende uno strumento, lo avvicina ad un campione di metallo e sul display compaiono tutti gli elementi chimici che lo compongono. La materia prima, blocchi enormi di metallo, pesanti tonnellate, viene scaldata a oltre mille gradi consentendo quindi la lavorazione, in diverse fasi, fino alla finitura e alla spedizione del prodotto: snodi cubici d’acciaio alti oltre un metro, tubature di 8 / 10 metri pesanti tonnellate, collettori di leghe speciali dove potremmo camminare chinati. Un autentico muro d’acciaio. Durante tali processi, alcuni pezzi vengono perfino rivestiti per impedirne – a vita – la corrosione. “All’interno di molti pezzi scorrono petrolio e gas – spiega Luca Franzosi – e alcuni di essi finiscono a 2 mila metri di profondità, in fondo al mare. Devono essere eterni”. Tonnellate d’acciaio luccicante compaiono nei vari reparti degli stabilimenti. Un team di ingegneri ha infine il compito di analizzare la qualità del prodotto finito: bombarda con spettrometri, analizza con microscopi, sonda il metallo in profondità con ultrasuoni, mette in trazione e in pressione – con la forza di decine di tonnellate – i materiali, li surgela a meno 196 gradi e poi li riscalda per misurarne la resistenza: tutto ciò per individuare anche la minima imperfezione. “Il prodotto che parte per l’estero deve essere perfetto” afferma Luca Franzosi. Nulla da invidiare all’efficienza tedesca sugli acciai. Anzi, un passo più avanti.

Lungo questo percorso abbiamo incontrato buona parte della forza lavoro di VIAR group. Colpisce il rapporto di stretta, anzi strettissima collaborazione e disponibilità fra le “parti” aziendali. E’ come se ingegneri, impiegati, tecnici sentissero “propria” l’azienda, orgogliosi del proprio lavoro. Qualcosa che va oltre la motivazione. Un modello di modernità ed efficienza. Un modello industriale a cui l’infezione da covid-19 non provoca nemmeno uno starnuto. Un autentico muro d’acciaio alla diffusione (e alle conseguenze) del coronavirus.