di Gian Franco Bottini
In questi giorni di vacanze l’ incappare in code a passo d’uomo sulle nostre strade non è certo cosa inusuale e uno degli escamotage, per combattere la noia che minaccia di farti sbattere il naso sul volante, è quello di leggere i messaggi delle vetrofanie occhieggianti dai finestrini delle macchine che ti precedono, sperando di incontrare qualcosa di nuovo e stimolante che riaccenda la tua attenzione, togliendoti da quello stato catatonico al limite di una pericolosa sonnolenza.
Qualche giorno fa siamo incappati noi stessi in una situazione del genere e proprio mentre stavamo sprofondando nell’oblio, causato dalla noiosissima e ripetuta lettura degli inflazionati “Bimbo a bordo””Padre Pio è con noi””Forza Roma,forza lupi” “I love(cuoricino)N.Y”,”Dio c’è” e così via, a farci riprendere “conoscenza” ci aveva pensato una sgusciante utilitaria che, zigzagando fra gli improperi dei clacson, si era infilata proprio davanti a noi guadagnando tre posizioni con una manovra che, se non fosse riuscita, avrebbe coinvolto in un allegro accartocciamento almeno una ventina di macchine.
Sul finestrino posteriore dell’auto troneggiava una frase che perentoriamente usciva dalla banalità delle solite affermazioni : ”L’Italia cambierà quando cambieranno gli italiani”. La nostra adesione al concetto era stata immediata: vista l’assurda manovra e data l’indiscussa italica nazionalità del guidatore, non era difficile confermare che il messaggio del quale era latore risultava, almeno nei suoi confronti, più che azzeccato.
Superata l’emotività del primo momento ci è parso comunque che il tema meritasse qualche riflessione supplementare . L’autore della frase, dichiarando la sua condivisibile insoddisfazione dell’attuale stato di cose, implicitamente chiamava alla responsabilità di un cambiamento migliorativo tutti i 60 milioni e passa di italiani :praticamente tutto il nostro Popolo-
Impossibile non far immediatamente ritornare alla memoria una di quelle frasi scolpite nel marmo dei tempi e che teneva banco nel “sussidiario” delle nostre elementari, pronunciata nel 1861 da tale Massimo D’Azeglio : “Ora che abbiamo fatta l’Italia, dobbiamo fare gli Italiani”.
Significava, a quei tempi, cercare di mettere a fattor comune culture, educazione, lingue, economie, caratteristiche totalmente diverse fra loro per creare una nazione ma soprattutto un Popolo. La strada era difficile e, a riprova, basti pensare che nel 1945 (dopo quasi un secolo) ancora una altissima percentuale di italiani era analfabeta .
Oggi a che punto siamo? Ognuno avrà la propria opinione ma certamente, per alcuni aspetti, un secol e mezzo pare passato invano se ancora non si può negare che la burocrazia è autoreferenziale alla piemontese (seppur ben reimpiantata in terra romana), mentre l’assistenzialismo in certe aree continua ad essere un convinto sistema di vita (“Francia o Spagna, purchè se magna”) e l’agognata autonomia risorgimentale lombardo-veneta pur imponendosi ha spesso difficoltà ad essere anche generosa .
Forse il nostro autore meglio avrebbe dovuto dire che “l’Italia cambierà quando ci saranno gli Italiani”. Un grande impegno per il nuovo Governo che, se vuole veramente essere del “cambiamento”, da lì dovrà partire anche sfruttando quella giovanile “aggressività “ che gli consentirebbe di andare a toccare dei punti nevralgici che altri non hanno mai voluto o saputo toccare.
Mentre facevamo queste riflessioni, sicuramente non esaltanti,un’altra macchina, che non nascondeva la sua anzianità, ci aveva superato infilandosi davanti a noi nella lenta coda chilometrica e facendoci solo intuire, per la nostra cecità e per la distanza, una sua vetrofania posteriore che ci pareva poter essere interessante: ”Viva l’Italia”
Abbiamo colto la cosa come una iniezione di fiducia e di speranza che consentisse un taglio meno negativo ai nostri pensieri e con prontezza abbiamo accorciato sostanzialmente le distanze per poter meglio leggere il messaggio . Era vero “Viva l’Italia” c’era, ma era affiancato da un pallone e da una scritta oramai obsoleta “2006-Campioni del mondo”. Ci siamo detti mestamente : accontentiamoci; almeno il calcio, qualche volta, riesce a farci sentire un Popolo.