VISTO&RIVISTO Allievo e maestro, rapporto che insegna qualcosa a entrambi

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di Andrea Minchella

VISTO

IL CAMPIONE, di Leonardo D’Agostini (Italia 2019, 105 min.).

A parte qualche sbavatura, qualche battuta stereotipata e qualche scena eccessivamente artificiosa, questo film riesce ad intrattenere in maniera leggera ed equilibrata lo spettatore che assiste ad una storia interessante, ben raccontata ed egregiamente interpretata dal giovane ma promettente Andrea Carpenzano e dal veterano e mai scontato Stefano Accorsi. Prodotto dal prolifico Matteo Rovere del “Primo Re”, la pellicola si sviluppa attorno al rapporto che si instaura tra il giovane e distratto campione della Roma calcio Christian Ferro, e dall’appesantito e un po’ deluso professore Valerio Fioretti.

Anche se il tema si presta facilmente a facili retoriche e semplicistiche modalità di racconto, il regista Leonardo D’Agostini riesce a costruire un intenso viaggio tra il giovane e il maturo, tra l’alunno e il maestro, tre il figlio e il padre. A volte ironico, a volte più forte e riflessivo, il film svela a poco a poco i dolori e le verità celate dei due protagonisti, tanto da farli assomigliare sempre più per dare loro la possibilità di guardarsi dentro per capire meglio aspetti che per troppo tempo sono stati camuffati e dimenticati.

Tecnicamente questo progetto si avvale di una buona costruzione: ottimamente realizzate, infatti, le numerose scene costruite in campo, allo stadio, dove è sempre molto difficile riuscire a rappresentare in maniera realistica partite di calcio importanti, senza scadere nell’effetto amatoriale.

Tranne qualche sbavatura stilistica, la sceneggiatura, comunque, diventa pilastro centrale per un racconto quasi sempre fluido e appassionante. Anche i personaggi, oltre ai due protagonisti, vengono scelti e raccontati in maniera originale e dettagliata.

Troppo didascalico nel finale, il film, in fondo, racconta di un mondo ideale in cui si può andare allo stadio e gioire del gioco del calcio senza rischiare di rimanere coinvolti in risse o accoltellamenti, e in cui si riesce ancora a veicolare con successo il basilare concetto che la cultura sia l’unico strumento per poter emergere ed emanciparsi da una posizione fragile e vulnerabile che rischierebbe, altrimenti, di imprigionarci in scelte obbligate, senza reali e rilevanti possibilità di cambiamento. Anche ritrovare, nel proprio cammino, un padre mai avuto, con le sue specifiche prerogative di insegnamenti dati dall’esempio e non solo dal ruolo, è una forma di speranza che tutti dovrebbero poter coltivare nel profondo del proprio cuore.

RIVISTO

WHIPLASH, di Damien Chazelle (Stati Uniti 2014, 105 min.).

Il rapporto maestro-allievo, sin dai tempi di Socrate, è stato declinato in migliaia di modi, di storie, di racconti. Questo potente e magistrale “Whiplash” riesce in maniera cristallina e struggente a rappresentare questo primitivo e complesso rapporto.

Diretto nel 2014 da un giovanissimo Chazelle, ma che già aveva ben chiaro il percorso che avrebbe intrapreso, il film racconta di Andrew, un ragazzo ambizioso e severo con sé stesso, che vuole diventare il più grande batterista jazz della sua generazione., e di Terence, un magnetico e iconografico J.K. Simmons, severo e quasi paterno insegnante di musica della prestigiosa Shaffer di Manhattan.

Durante tutto il racconto assistiamo al complesso e articolato rapporto che si instaura tra i due, cambiandoli e rendendoli, in fondo, persone migliori di come erano prima di incontrarsi. Ma le difficoltà sono enormi, e il giovane Andrew sembra sempre essere in affanno rispetto la granitica figura del maestro. Estremamente iconografica la sequenza finale in cui il virtuosismo di Andrew sembra impossessarsi del ragazzo, trascinandolo in un viaggio esoterico che illumina con una luce trascendente l’essenza del suo rapporto con la musica e con il severissimo maestro. Un’opera d’arte, questo “Whiplash” che imprime per sempre nelle nostre menti un nitido racconto di un rapporto che ognuno di noi, almeno una volta nella vita, dovrebbe avere la fortuna di vivere.

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