VISTO&RIVISTO La potenza dei Queen in un film complesso

queen mercury minchella

di Andrea Minchella

VISTO

BOHEMIAN RHAPSODY di Bryan Singer (Stati Uniti, Regno Unito 2018, 134min).

Raccontare la vita e le gesta di un mito, di una leggenda, è una delle operazioni cinematografiche più complesse che esistano. Il rischio di cadere nella banalità di una cronologia troppo scarna e lineare al confronto di una vita esplosiva, articolata e schizofrenica di un artista è molto elevato. Purtroppo questo film sui Queen non è riuscito a scamparlo. Anche se la regia è stata affidata ad un veterano di Hollywood, lui il padre dei “Soliti Sospetti” e del

Colonnello von Stauffenberg/Cruise del memorabile “Operazione Valchiria”, il film fatica a rendere giustizia ad uno degli artisti più geniali e complessi del ventesimo secolo. Per avere i dettagli sulla sua vita, basta consultare Wikipedia: per avere un’analisi profonda e puntuale si guarda un film ben fatto, oppure, tornati alla ribalta negli ultimi anni, un documentario che spesso, più di un film superficialmente elaborato, riesce a tratteggiare con chiarezza i lati più nascosti di un artista (come ad esempio fa lo struggente “nella mente di Robin Williams”di Marina Zenovich).

Nulla da dire sulle musiche, supervisionate da un Brian May che fortemente ha voluto questo film e che tutt’oggi sembra vivere esclusivamente del breve ma intenso periodo dei Queen, che reggono, non completamente però, l’intera struttura del racconto. May, qualcuno griderebbe al conflitto di interessi, emerge come la persona solida e strutturata del gruppo, a sfavore di un Mercury fragile e troppo devoto agli eccessi di ogni tipo: la magia e unicità dell’artista Mercury, però, nulla ha a che fare con la sua vita privata che, probabilmente come succede ai veri artisti destinati all’immortalità, è parte integrante della sua grandezza artistica.

Bravo Rami Malek che fa rivivere Mercury per circa un’ora e mezza: da solo però non riesce a rendere speciale né memorabile questo scontato e poco profondo biopic.

Da segnalare i primi concerti dei Queen del film, in cui Malek/Mercury assume le sembianze, forse involontariamente, o forse no, di Mick Jagger, di Prince, e anche di un giovane Michael Jackson: come a dire che i grandi della musica racchiudono in sé gli stessi archetipi, universali e apprezzabili da tutti i tipi di pubblico.

 

RIVISTO

IO NON SONO QUI di Todd Haynes (I’m not There, Stati Uniti 2007, 135 min).

L’unico modo di raccontare un artista come Bob Dylan non poteva che essere un’opera complessa e confusa come questo film; una vita difficile, quella di Dylan, da trasferire su pellicola, senza cadere nella banalità di un racconto semplice e piatto.

Haynes riesce, anche grazie al meglio di attori e attrici che circolavano al momento della sua realizzazione, a confezionare una storia piena di spunti, rimandi, ricordi, racconti, poesie, immagini che insieme racchiudono una, seppur sbiadita, immagine di uno dei più schizofrenici e contraddittori artisti del secolo scorso. Per raccontare la vita e le opere di un grande, sembra essere questo l’unico modo per farlo. Musica e immagini, grazie ad un montaggio preciso e mai sbavato, si fondono creando atmosfere che ricordano quelle create dalle scarne ma potentemente complesse poesie musicate di Bob Dylan.

Da rivedere per gustare Bale e Blanchett in una delle loro più convincenti interpretazioni.

 

Queen mercury minchella – MALPENSA24