VISTO&RIVISTO Una falsa identità dietro al vano tentativo di un riscatto esistenziale

minchella georgetown visto rivisto

di Andrea Minchella

VISTO

GEORGETOWN, di Christoph Waltz (Stati Uniti 2019, 99 min.).

Il furto di identità, o peggio, la costruzione di un’identità che non esiste, è uno dei crimini più traumatici ma affascinanti allo stesso tempo. La letteratura e la cinematografia hanno sempre avuto una certa attenzione nei confronti di quelle vicende in cui il protagonista che tutti conoscono è, in realtà, una pura illusione, una raccapricciante quanto imbarazzante invenzione.

“Georgetown” è la rappresentazione analitica di ciò che succede quando una persona affabulatrice, affascinante e magnetica si trova con le persone giuste nel posto giusto. Christoph Waltz decide di mettersi dietro la macchina da presa prendendo spunto da un disarmante articolo del New York Magazine, “The Worst Marriage in Georgetown”, in cui si narra delle vicende surreali di Abrecht Muth, un poliedrico e bugiardo signore di origine tedesche, e di Viola Drath, un’anziana e famosa giornalista americana che si innamora fino a sposare il misterioso “ex militare dell’esercito iracheno”.

Nel film i nomi dei due protagonisti sono cambiati, ma la storia ricalca perfettamente la vicenda che, all’epoca dei fatti, lasciò molti a bocca aperta a causa anche della misteriosa morte dell’anziana giornalista e del processo che ne scaturì a carico del “pacato ma folle” Ulrich Mott, un bravissimo Waltz che si auto dirige in maniera impeccabile ed efficace. Waltz, che in modo geniale si autocita quando si presenta ad alcuni ricevimenti con una finta benda sull’occhio, come il gerarca nazista del magnifico “Bastardi Senza Gloria” di Tarantino, per meglio interpretare la parte del veterano di guerra, compie una interessante e originale impresa di ricostruzione cinematografica di una vicenda realmente accaduta. Oltre a dividerla in capitoli, come spesso fa il maestro di Waltz, Quentin Tarantino, le fornisce una giusta grammatica temporale, che intriga, incuriosisce e fornisce allo spettatore tutti gli ingredienti per capire, a poco a poco, la vera natura del protagonista e la vera essenza dell’intera vicenda. Il ritmo narrativo, infatti, è un crescendo di tensione che si incastra perfettamente ad una sceneggiatura ben scritta e mai superflua.

Altro punto forte del racconto è certamente la scelta degli attori. Credibili, certo, i personaggi che si muovono in secondo piano, ma la scelta della Redgrave, sempre centrata nei suoi complessi personaggi, nei panni dell’anziana moglie di Mott, e della brava e ritrovata Bening, che qui interpreta la figlia scontrosa e disillusa dell’anziana giornalista, sono un punto forte del progetto arduo ma ben costruito del “novello” Waltz.

Dunque “Georgetown”, che si può trovare su diverse piattaforme digitali, è un buon prodotto perché realizzato da un attore bravo ed attento che ha saputo prendere spunto dai grandi registi con cui ha lavorato per poter realizzare il suo primo progetto come regista.

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RIVISTO

6 GRADI DI SEPARAZIONE, di Fred Schepisi (Six Degrees of Separation, Stati Uniti 1993, 112 min.).

Prima un’opera teatrale. Prim’ancora un episodio realmente accaduto del truffatore David Hampton. “6 Gradi di Separazione” è uno dei film più interessanti e avvincenti degli anni novanta.

Un giovanissimo, ma già carico di carattere Will Smith, lascia tutti a bocca aperta nella scena, ormai mitica, in cui davanti a due giganti come Ian McKellen e Donald Sutherland parla della vera essenza de “Il Giovane Holden”, citando la pagina e la riga esatta del romanzo di un particolare evento che possa rafforzare le sue teorie sulla spiazzante e profonda analisi del testo di J. D. Salinger.

Il giovane Paul è entrato nella vita dei ricchi e romantici Kittridge e sconvolgerà per sempre le loro esistenze. L’equivoco e la finzione sono alla base di un racconto profondo e misterioso sulla difficile quanto casuale condizione umana e sui rapporti che siamo in grado di stringere con persone che crediamo di conoscere, ma che probabilmente non conosciamo o non vogliamo veramente conoscere per paura di mettere in discussione l’essenza della nostra vita, delle nostre scelte, dei nostri desideri. Un film, questo, che va rivisto poiché la sua tematica e la grammatica usata del bravo Schepisi sono, a distanza di quasi trent’anni, attuali, freschi e sempre efficaci.

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