Albizzate: «Il crollo si poteva evitare. Errori progettuali e incuria». Chiuse le indagini

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ALBIZZATE – Depositato oggi, lunedì 9 novembre, l’avviso di conclusione indagini sul crollo che lo scorso 24 giugno ad Albizzate ha travolto e ucciso una giovane madre di 38 anni e i suoi due bambini di 5 e un anno. Il pubblico ministero di Busto Arsizio Nadia Calcaterra, che ha coordinato le indagini, ha acquisito gli esiti peritali dei consulenti tecnici e si prepara adesso a chiedere il rinvio a giudizio per i due indagati: Antonio Colombo, bustocco di 58 anni, proprietario dell’immobile di via Marconi dal quale si sono staccati gli oltre 60 metri di cornicione in quel maledetto pomeriggio. E Cesare Gallazzi, 95 anni, che curò il progetto di riqualificazione del vecchio opificio 30 anni fa inserendo nel progetto la trave gronda in cemento armato poi crollata. Per entrambi le accuse sono di omicidio colposo plurimo e disastro colposo.

False dichiarazioni e mancati collaudi

Nel caso di Gallazzi le accuse sono motivate, a parere del pubblico ministero, dal fatto che in qualità di progettista architettonico il professionista abbia «falsamente dichiarato in fase di richiesta di concessione edilizia, l’assenza di opere in cemento armato, circostanza che ne avrebbe comportato la relativa denuncia all'(allora) Genio Civile, con conseguenti obblighi informativi, di deposito del relativo progetto, corredato dalla relazione illustrativa, e di collaudo». La trave gronda era invece stata realizzata proprio in cemento armato. Le accuse a Gallazzi, sempre in qualità di progettista, basano anche sul fatto «di aver progettato – in violazione degli elementari principi di scienza delle costruzioni – una struttura in cemento armato, la trave-gronda, priva di stabilità a causa della mancanza delle condizioni di equilibrio statico di quest’ultima con il manufatto murario realizzato al di sopra, conseguente alla realizzazione degli stessi in assenza di un adeguato contrappeso». Gallazzi, infine, in qualità di direttore dei lavori non avrebbe «Adeguatamente supervisionato, diretto (ed eventualmente corretto) la realizzazione delle strutture in cemento armato di cui sopra».

Crepe coperte ma non riparate

Colombo avrebbe invece omesso, a partire dal 2012 «Ancorché in presenza sulle velette murarie sommitali del fabbricato interessato dal crollo di vistose fessurazioni, a lui note, indicative di una condizione di instabilità della trave-gronda e di un principio di distacco della porzione poi collassata – di incaricare un professionista qualificato al fine di accertarne le cause (e le conseguenti opportune modalità di ripristino), limitandosi ad interventi meramente estetici e superficiali di rasature delle crepe con intonaco armato con fibra di vetro». Colombo inoltre era stato informato alle 9.30 del giorno del crollo, avvenuto alle 17.30 di circa, che la situazione era grave così come gli aveva indicato un professionista da lui incaricato di un controllo. Nonostante questo l’imprenditore non avvisò le competenti autorità e nulla fece per puntellare la pensilina e chiudere via Marconi evitando così che un eventuale crollo potesse travolgere qualcuno così come poi avvenuto.

Verso la richiesta di rinvio a giudizio

Luca Abbiati, difensore di Colombo, e Cesare Cicorella, difensore di Gallazzi, avranno ora 20 giorni per depositare memorie difensive e chiedere che i loro assistiti siano interrogati dal pum. Dopo di che la procura, anche alla luce della nettezza delle conclusioni del pubblico ministero contenute nell’avviso di conclusioni indagini, potrebbe procedere con la richiesta di rinvio a giudizio.

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