MILANO – Caso Camici: la procura di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio per il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana e per altre quattro persone. Il governatore rischia di ritrovarsi a processo con l’accusa di frode in pubbliche forniture. L’inchiesta riguarda l’affidamento da parte della Regione di una fornitura, poi trasformata in donazione, da circa mezzo milione di euro di 75mila camici e altri dpi (dispositivi di protezione individuale) per affrontare le prime fasi della pandemia, a Dama, la società di suo cognato Andrea Dini.
La difesa degli alleati
Nessuna sorpresa
La richiesta è stata firmata dai pm Carlo Scalas e Paolo Filippini e dall’aggiunto Maurizio Romanelli. Fontana a inizio novembre aveva rinunciato a farsi interrogare dai pm. «Il presidente Fontana ritenendo evento utopistico che la Procura, dopo l’avviso di chiusura indagine, possa mutare impostazione accusatoria a seguito di un suo interrogatorio – queste all’epoca le parole di Jacopo Pensa, legale di Fontana alle agenzie di stampa – ha deciso di riservare le proprie difese alle fasi processuali successive di fronte a giudici terzi».
Le accuse dei pm
La richiesta di rinvio a giudizio non dovrebbe, dunque, costituire una sorpresa per il presidente di Regione Lombardia. Secondo la procura di Milano, ci fu un «Accordo collusivo intervenuto» tra Andrea Dini, patron di Dama spa, «e Fontana», suo cognato, «Con il quale si anteponevano all’interesse pubblico, l’interesse e la convenienza personali del Presidente di Regione Lombardia», il quale da «soggetto attuatore per l’emergenza Covid si ingeriva nella fase esecutiva del contratto in conflitto di interessi» sull’ormai nota fornitura di camici e altri dpi trasformata in donazione.
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