Draghi o il caos. Ecco perché

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Il palazzo del Quirinale

di Ivanoe Pellerin

Cari amici vicini e lontani, è sempre difficile chiarire il pensiero e motivare le proprie riflessioni. Leggendo i giornaloni si percepisce che la corsa al Quirinale risente un po’ dell’italica tendenza ad appartenere, a supportare le varie posizioni politiche come fossero le squadre del cuore tanto che le ragioni si confondono un pochino con le emozioni. E in questo periodo di emozioni ce ne sono state tante! E la paura. E la paura gronda dagli schermi, si legge sui giornali, viene trasmessa sulle onde della radio. Sicché diventa difficile ragionare con calma, con calma riflettere, argomentare, chiarire.

Veniamo al dunque. Per sostenere le ragioni di Draghi al Quirinale ho intensificato le mie letture, ho dibattuto con qualche amico del cuore e mi sono aggrovigliato intorno ai miei riferimenti liberali. Mi è capitato, quasi per caso, di prendere in mano un libro di due ottimi autori, Ludovico Festa e Giulio Sapelli (piuttosto noti), appena pubblicato, dal titolo già esplicativo: “Draghi o il caos”. Ed ho ritrovato molte delle ragioni che stavo elaborando.

Stiamo assistendo ad una lunga fase di disgregazione politica iniziata nell’ormai lontano 1992, quando “Mani pulite” ha mandato a casa un’intera classe politica. All’epoca la situazione è stata contenuta in qualche modo da un bipolarismo un po’ rozzo che ha mantenuto un rapporto fra stato e società civile. Dal 2011 con Monti e poi Letta e Renzi e i vari governi Conte, l’elettorato di fatto non ha più avuto un ruolo e la politica è stata sostanzialmente commissariata in modo alquanto abile da Napolitano. Quando fra i circa mille parlamentari 350 di essi cambiano schieramento (fatto del tutto legittimo in teoria) si assiste ad una situazione che interrompe il rapporto fra rappresentati e rappresentanti. Una gentile signora, interrogata sulla sua preferenza per Draghi al Quirinale, ha detto: “Io non sono draghiana per disperazione, io sono disperata!”.

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Ivanoe Pellerin

Draghi al contrario di Monti è una persona molto più razionale e con maggiori competenze e ha un rapporto molto stretto con gli Stati Uniti che sono (nonostante la presidenza Biden) la principale forza che tiene insieme l’occidente. Leggo nel libro che se un raffinatissimo politico come Napolitano ci ha riempito di tecnici, si spera che un grande tecnico ci riempia di politici. Questo è sostanzialmente il vero problema. Dobbiamo ridare ai partiti un ruolo effettivo nella politica e Draghi è l’occasione per tentare questa operazione. Per tornare, la politica ha bisogno di una serie di garanzie poiché viviamo una situazione di emergenza e sia il Recovery Fund sia la pandemia richiedono che la politica sia posizionata al livello più alto e non più basso.

Nel ventennio passato abbiamo avuto per dieci anni due presidenti del consiglio, Berlusconi e Prodi, e nei dieci anni successivi altri sette presidenti. La debolezza di questi governi è apparsa evidente.

La stabilità di un governo si regge su un mandato forte che solo l’elettorato può consegnare. Ed anche la governance europea vuole un’Italia stabile poiché non si può tornare all’austerità tedesca e nello stesso tempo occorre contrastare la pandemia con programmi comuni. Inoltre gli Stati Unti preferirebbero un’Europa economicamente più liberale e sono preoccupati che l’EU flirti troppo con la Cina e con la Russia. E proprio Draghi rappresenta una chance eccezionale: economista di qualità, civil servant stimato in Europa, banchiere legato alla finanza americana, una vera garanzia per le scelte tecniche e le relazioni internazionali. Ma nemmeno una personalità di questa levatura arresterà il disfacimento della nostra democrazia se non ci sarà un ritorno alla discussione pubblica, cioè alla politica. In senato vi sono stati già molte tribolazioni e questa eterogenea maggioranza appare sempre più critica. Ecco perché la carta “Draghi” può essere giocata solo eleggendolo a presidente della Repubblica per poi consentire al popolo sovrano di aprire una nuova fase per la ricostruzione di “veri” partiti.

Un’altra ragione. Draghi non ha in Europa molti competitors dal momento che la Merkel se ne va, Macron ha parecchi problemi (anche se la Francia ha istituzioni più solide che vengono dalla sua storia, da Luigi XIV, da Napoleone e infine da De Gaulle), la Gran Bretagna non è più un interlocutore europeo, la Spagna è ormai ipersocialista con Sanchez un po’ troppo antiamericano. È stato sei mesi senza ricevere una telefonata da Biden per i suoi rapporti un po’ troppo stretti con Maduro e Castro.

L’integrazione europea appare il destino della nostra nazione. La fine dei fattori che hanno accompagnato la storia “comunitaria”, il pericolo sovietico, la divisione della Germania, la salda egemonia americana, mostra come il processo di integrazione non possa procedere automaticamente. Da qui la necessità che la politica torni in Italia per aiutare l’Unione a trovare una strada “costituzionale”. Italia può dunque avere una sua importante posizione per spingere l’Europa verso una struttura politica di diritto e non solamente funzionale nella quale contino più gli elettorati dei vari paesi e non le burocrazie.

Osservate l’attualità. La politica estera è la principessa della politica di una nazione e la nostra finora è stata un po’ debole (si veda l’attuale situazione in Libia). Il riavvicinamento fra Italia e Francia è un primo passo. Macron (giovedì 25), dopo il doveroso incontro con Mattarella, è andato a Palazzo Chigi per un incontro a due con Draghi. Il trattato fra Italia e Francia viene firmato oggi venerdì 26. Il Financial Times di mercoledì 24 ha già dato la sua interpretazione. “Draghi e Macron vogliono rafforzare la loro influenza sull’Europa.” È vero che Macron può beneficiare di una relazione più salda mettendo d’accordo i moderati del suo paese. C’è tuttavia il pericolo che, nonostante la presenza di Draghi e Macron al potere, possano esserci frizioni sul fronte degli investimenti, da sempre materia di contrasto fra i due paesi. Da parte nostra appare chiaro che nessuna forza politica vuole opporsi alla scelta di un legane bilaterale con Parigi e al tempo stesso che tale scelta è frutto di una serie di indicazioni pervenute dalla Casa Bianca. Nell’era di Biden, Roma e Parigi devono collaborare per controllare il Mediterraneo, per arginare le pulsioni dell’impero blu di Recep Tayyip Erdogan e per trovare un nuovo equilibrio con la Russia di Putin.

Il consigliere di Macron, Alexandre Adam, interpellato sul trattato detto “del Quirinale”, ha così spiegato: con la Germania si trattava di riconciliazione, con l’Italia si tratta di un accordo con un vicino con il quale abbiamo un’eredità culturale comune. Si punta a relazioni di lungo periodo per fornire loro i robusti meccanismi di consultazione e cooperazione.

Cari amici vicini e lontani, potrei addurre altre osservazioni ma, scusandomi per questa già lunga annotazione, spero di aver argomentato la mia inclinazione per l’elezione di Draghi al Quirinale. A questo punto non posso che riportare il titolo del libro, “Draghi o il caos”.

Draghi al Quirinale? Il paradiso può attendere

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