Varese Archeofilm e le palafitte delle Alpi: l’acqua che conserva attraverso i millenni

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VARESE – «Varese è molto più ricca di quanto possa immaginare anche chi la conosce bene: lo dimostra “Memorie da un mondo sommerso”, un importante biglietto da visita nel mondo». Come ha sottolineato Marco Castiglioni presentando ieri, venerdì 2 settembre, insieme alla giornalista Giulia Pruneti la seconda serata di Varese Archeofilm, il documentario proiettato in apertura ha affrontato un tema in cui il territorio della Città Giardino ha un ruolo predominante: i siti palafitticoli dell’arco alpino. L’altra visione proposta alla tendo struttura dei Giardini Estensi ha invece spostato i riflettori ai tempi dell’antica Roma e sulle origini della Città del Vaticano illustrando come sia nato il connubio di arte, architettura e religione che oggi concentra ben ventisei musei in meno di un chilometro quadrato.

Uno scorcio della vita quotidiana nella preistoria

Come ha ricordato Barbara Cermesoni, conservatrice dei musei civici di Villa Mirabello, per poter rinvenire i resti di villaggi che risalgono a più di settemila anni fa è stata fondamentale non solo la protezione offerta dall’acqua, che preserva la materia organica per millenni, ma anche quella data dai sedimenti che si sono depositati sopra. Il documentario ha offerto uno scorcio della vita quotidiana degli uomini della preistoria, partendo dagli alimenti per attivare alla creazione dei vari utensili, come la modellazione delle lame in selce attraverso un percussore. Per indagare nel passato è importante anche il contributo di discipline come l’etnoarcheologia, che studiando i popoli allo stato primitivo permette di risalire alle tecniche di fabbricazione utilizzate, come nel caso delle palafitte nel Borneo o delle piroghe del lago Malawi. O la dendrocronologia che, analizzando l’età del legno, consente di risalire alla data di costruzione di un’abitazione.

Pierre Corboud, Barbara Cermesoni e Piero Pruneti

Immergersi in un mondo lontano migliaia di anni

L’epoca delle palafitte, in cui è comparsa una delle prime forme di scrittura con le cosiddette tavolette enigmatiche, probabili ricevute per il commercio di materiali di pregio, si è conclusa con l’età finale del Bronzo: un raffreddamento climatico e un l’aumento delle piogge, facendo salire il livello dei laghi, spinsero le popolazioni palafitticole ad abbandonare i loro insediamenti a favore dell’entroterra. Pierre Corboud, docente di archeologia preistorica e antropologia dell’Università di Ginevra, ha dialogato con Cermesoni e Piero Pruneti, direttore di Archeologia Viva, a fine proiezione: «Nonostante la povertà dei resti che si possono trovare mi emoziono sempre quando sto per immergermi passando dall’esterno, il mondo attuale, al mondo subacqueo, tornando indietro di qualche migliaio di anni. Le palafitte a me più care, perché sono quelle che compreso meglio, sono quelle del lago di Ginevra. Senza dimenticare luoghi come Fiavè, a Trento, e Lucone di Polpenazze». L’acqua conserva ma non permette di vedere, lanciando un sfida: Cermesoni ha invitato a visitare l’Isolino Virginia, dove è stato ricostruito l’interno di una palafitta e i siti di Bodio Lomnago e Cazzago Brabbia segnalati dalle boe.

I tesori nascosti di duemila anni di storia

Dedicato ai tesori nascosti di duemila anni di storia, “Città del Vaticano, alla ricerca dell’eternità” è tornato indietro a quando, ai tempi di Nerone, il sito non era che un cimitero su un colle abbandonato vicino a un’arena per le corse delle bighe che, a partire dal secondo secolo dopo Cristo, rivela la presenza una struttura nel luogo dove i pellegrini si riunivano per commemorare l’apostolo Pietro. Prendendo a riferimento documenti come il manoscritto di Grimaldi, l’utilizzo della tecnologia ha permesso di riprodurre gli edifici originali e come si siano sviluppati nel tempo, da quella che era una torre medievale di difesa eretta da papa Nicola III poi inglobata all’interno del complesso, fino ad arrivare a papa Giulio II che, dando inizio alla collezioni delle statue dell’epoca classica, elevò le stanze vaticane allo status di museo mondiale. Un luogo che ha visto che ha visto anche succedersi gli interventi di artisti come Botticelli, Ghirlandaio, Perugino, Bernini e soprattutto Michelangelo, con la storia della sua lotta di potere con il pontefice: il capitolo finale lo vide accettare di dirigere a settantadue anni, in lavori per completare l’opera avviata da Bramante per la basilica di San Pietro.

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