Varese, Busto e l’inutile par condicio

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La campagna elettorale è già entrata nella fase più calda, quella che non esclude i colpi bassi e le prese di posizione più estreme. Non fanno eccezione le città della provincia di Varese che andranno alle urne nei primissimi giorni di ottobre. Un crescendo di uscite pubbliche tese a screditare gli avversari e ad autocelebrarsi. Tutto normale? La risposta è condizionata dalle prospettive dalle quali guardano ciascuna forza politica e ciascun candidato in campo e, manco a dirlo, scaturisce dalle convenienze di affermare un concetto o un giudizio piuttosto che i loro opposti.

Nel capoluogo, il sindaco Davide Galimberti e la sua giunta hanno reso noto un dossier sull’attività del mandato amministrativo. Un voluminoso elenco di interventi, un’ampia fotografia che autopromuove l’esecutivo di Palazzo Estense. Anche qui, tutto normale? Per la Lega è un no deciso quanto preciso: niente di accettabile. Motivo: Galimberti avrebbe violato la par condicio, tanto che un piccatissimo Emanuele Monti, consigliere regionale della squadra di Salvini, annuncia un esposto alle autorità che sorvegliano la “parità di condizioni” in campagna elettorale. Che fosse necessario ricorrere alle carte da bollo non lo sapremmo dire. Che la scelta di Monti, in scia alle dichiarazioni di scorrettezza di Matteo Bianchi, principale avversario di Galimberti, sia destinata a suscitare discussioni è assodato. Soprattutto perché Monti accusa il primo cittadino varesino di essersi volutamente dimenticato l’apporto di Roberto Maroni e Attilio Fontana allo sviluppo della Città Giardino.

Vero, non si può disconoscere che i due, presidenti di Regione Lombardia,  abbiano soddisfatto molte delle aspettative di Varese pur giocando sulla sponda opposta della giunta di Galimberti. Ma non si può neanche pretendere che in campagna elettorale gli avversari si facciano reciproci salamelecchi. Se ciò accadesse saremmo in un altro mondo, di sicuro un mondo virtuale che non è l’Italia. Del resto, sulla Prealpina, il referente della lista bustocca di Emanuele Antonelli, Francesco Iadonisi, fa l’elogio, a suo dire, del “sindaco del fare”, lo stesso Antonelli, ricordando alcuni dei risultati raggiunti in questi ultimi cinque anni. In cima alla lista, la nuova caserma dei carabinieri di Busto Arsizio e i lavori di riqualificazione di via Per Lonate. Opere di impatto, che il sindaco, schierato alle urne per il bis, ha soltanto concluso, perché avviate da altre amministrazioni. Certo, Antonelli ha affrontato e risolto intoppi o forse inghippi burocratici che ritardavano la fine dei lavori. Se correttezza dev’essere, il suo sodale di lista avrebbe dovuto citare, ad esempio, Stefano Candiani, sottosegretario leghista all’Interno del primo governo Conte, che ha messo mano all’intricata questione della caserma. Bravo Antonelli, ma bravo anche Candiani che ha contribuito in maniera sostanziale a risolvere il problema. Così, per dire.

Poi, a Varese, il dossier di Galimberti ha valore istituzionale, nasce all’interno di un presidio pubblico chiamato, più di altri, a rispettare le regole. Qui però entriamo in un campo minato, dentro il quale è la stessa norma della par condicio a essere messa in discussione. Le violazioni sono palesi e in senso trasversale. Anche per la sua inutilità rispetto a quanto accade di solito in campagna elettorale. Inutilità e, diciamolo pure, con punte di ridicolaggine. Un esempio? L’agenzia di stampa della Regione Lombardia, fino alla fine dei ballottaggi, cioè oltre la metà di ottobre, non può fare i nomi del presidente Fontana e degli assessori nei suoi dispacci. Come se scrivere il presidente o l’assessore al Welfare senza specificarne i titolari significhi qualcosa in termini di flussi di voti. Alla luce anche di come si comportano i media, che quei nomi li fanno. E ci mancherebbe altro. A testimonianza di come la par condicio nell’era dei social, dove tutto o quasi è permesso, e dell’informazione di massa, sia anacronistica. O buona soltanto per attizzare contenziosi politici che, giratela come vi pare, rischiano di lasciare il tempo che trovano. Da una parte e dall’altra.

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