Operazione antimafia a Catania. Il “tesoretto” del clan nascosto a Varese

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VARESE – Nell’ambito di articolate attività di indagine coordinate dalla Procura della Repubblica di Catania – Direzione Distrettuale Antimafia, i Finanzieri del Comando Provinciale della Guardia di finanza di Catania, con la collaborazione e il supporto dello Scico (Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata), hanno ricostruito gli investimenti degli illeciti proventi del capo del clan Scalisi – articolazione della famiglia mafiosa Laudani – in attività imprenditoriali gestite dal nipote nonché da due imprenditori catanesi: questi, a loro volta, utilizzavano diversi prestanome per la costituzione di numerose società.

Pioggia di ordinanze

Il Giudice del Tribunale di Catania, su richiesta della Procura Distrettuale, ha condiviso la configurabilità del concorso esterno a carico dei due imprenditori ed emesso ordinanze cautelari personali e reali nei confronti di 26 persone indagate, a vario titolo, per associazione a delinquere di tipo mafioso e trasferimento fraudolento di valori al fine di eludere la normativa antimafia. Nel dettaglio, sono state seguite dai militari del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Catania ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di 5 indagati e il sequestro preventivo nei confronti di tutti i 26 indagati delle quote societarie e dei compendi aziendali di 17 società aventi sede in Sicilia, Lombardia e Veneto, di 48 beni immobili tra terreni e appartamenti situati tra Catania e Messina, oltre che di conti correnti e disponibilità finanziarie per un valore complessivo di 50 milioni di euro.

Sequestrate auto di lusso

Inoltre, nel corso delle attività di perquisizione domiciliare nei confronti degli arrestati sono stati rivenuti e sottoposti a sequestro oltre 1 milione di euro in contanti, orologi, preziosi e auto di lusso, tra cui una Ferrari modello F458 del valore di 200 mila euro, due Porsche e un’Audi Q8. La complessa attività d’indagine, condotta dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Catania, ha riguardato soggetti appartenenti o contigui al clan Scalisi di Adrano e ha permesso di accertare la forte capacità del gruppo mafioso di inserirsi nel tessuto economico-sociale e di infiltrarsi in strutture produttive attive sull’intero territorio nazionale e con sede nel Nord-Est, dalle quali traeva poi finanziamento.

Il boss comandava dal carcere

In particolare, l’indagine ha evidenziato come il capo clan, anche dal carcere (ove è sottoposto al regime del “carcere duro”), abbia continuato a rappresentare il punto di riferimento dell’associazione criminale, dirigendo – anche nel corso dei “colloqui” presso l’istituto di reclusione – l’attività della consorteria criminale e ciò grazie soprattutto al nipote, al quale è stato riconosciuto un ruolo di assoluto rilievo nell’ambito del sodalizio quale portavoce dello zio sul territorio e supervisore degli investimenti.

Patrimoni nascosti

Le investigazioni, condotte dalle unità specializzate del Gico del Nucleo Pef di Catania, hanno poi posto in luce il “concorso esterno” nell’associazione mafiosa di due imprenditori catanesi, i quali hanno sistematicamente operato a favore del capo clan, riuscendo in questo modo: da un lato, a “occultarne” il relativo patrimonio, grazie a plurime intestazioni fittizie di beni e società illecitamente acquisiti nel tempo; dall’altro, a incrementare in maniera costante e considerevole le loro disponibilità economiche e finanziarie, potendo contare sugli ingenti e illeciti apporti di capitale derivanti dalle attività della consorteria criminale e sulla protezione offerta loro dallo stesso clan.

Logistica e petrolio

Al riguardo, si evidenzia che i predetti imprenditori – inizialmente operanti nel settore della logistica e dei trasporti nella zona di Adrano – potendo contare sulla copertura anche finanziaria fornita dall’associazione mafiosa oggetto di indagine hanno progressivamente esteso sull’intero territorio nazionale le loro illecite attività imprenditoriali, gradualmente diversificandole e rilevando anche società operanti nel settore della commercializzazione dei prodotti petroliferi in Veneto e Lombardia.

È emersa altresì la figura di un altro sodale, quale importante riferimento dell’associazione criminale nel territorio di Adrano, Paternò e Biancavilla, attivo in particolar modo nel settore dei trasporti.

Chi favoriva il clan Scalisi

In esito alla complessa e articolata attività di indagine del Nucleo Pef della Guardia di finanza di Catania e dello Scico, il Giudice per le indagini preliminari presso il locale Tribunale, su proposta di questo Ufficio, ha quindi disposto misure cautelari personali e reali nei confronti degli appartenenti all’associazione mafiosa. Nel dettaglio, è stata disposta la custodia cautelare in carcere nei confronti di 5 soggetti, sottoposti a indagine a vario titolo per associazione a delinquere di tipo mafioso e trasferimento fraudolento di valori, poiché hanno fittiziamente attribuito la titolarità di altrettante imprese a svariati prestanome, con la duplice finalità di eludere la normativa antimafia e di favorire il clan Scalisi.

Il tesoretto in provincia di Varese

È stato inoltre sottoposto a sequestro, nei confronti di 26 indagati, il rilevante patrimonio del clan Scalisi – per un valore allo stato stimato in circa 50 milioni di euro – costituito da: quote societarie e relativi compendi aziendali di 17 società aventi sede in Sicilia (province di Catania e Enna), Lombardia (Varese e Mantova) e Veneto (Verona), attive nel settore della logistica e della commercializzazione del carburante;  48 immobili, di cui 15 fabbricati e 33 appezzamenti di terreni, tutti situati tra la provincia di Catania e Messina.

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