Varese, quell’autocandidatura che sa di rivalsa

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Matteo Bianchi

Matteo Bianchi, già parlamentare leghista e candidato sindaco a Varese per il centrodestra, si porta avanti con il lavoro ricandidandosi alla carica di primo cittadino del capoluogo fra tre anni o giù di lì. Se non conoscessimo Bianchi e se non supponessimo ciò che l’ha spinto alla sorprendente presa di posizione penseremmo che sia vittima di un colpo di sole, benché in questi giorni il sole non faccia nemmeno capolino. Insomma, perché l’ha fatto? Per provocare, per cosa se no? Provocare innanzitutto la “sua” Lega, che l’ha lasciato a piedi dopo le politiche e che, nel frattempo, vive momenti di “acceso dibattito”.

E’ qui, nelle pieghe della fronda interna al partito, che Bianchi, a una prima analisi del suo comportamento, va a collocarsi. Il consenso per la politica di Matteo Salvini è in fase calante, attorno a lui si muovono schiere di malpancisti in camicia verde (se ancora vale il colore caro a Umberto Bossi) che, per scontate ragioni di opportunità, non affondano ancora il colpo, ma tramano, eccome se tramano per cambiare il segretario federale.

Gemonio, casa del fondatore del Carroccio, è al centro di conciliaboli di militanti in cerca di riscatto ideologico e personale. Un po’ dappertutto al Nord si intensificano i tentativi di correggere la rotta per tornare alle origini del Bossi-pensiero, soprattutto all’indomani della scoppola sarda e in vista delle Europee, attese con preoccupazione innanzitutto dalla Lega. E Bianchi cosa fa? Spariglia, lancia il suo dardo con una candidatura che sa benissimo essere prematura, fuori luogo e, al massimo, funzionale a dare la scossa. Al partito a Varese e, per estensione, al centrodestra. Al partito, che naviga nei mari procellosi del “vorrei ma non posso” e dimentica nel retrobottega un numero uno (perlomeno, lo è stato) come Bianchi; al centrodestra che nel capoluogo si sta facendo bagnare il naso da una giunta di centrosinistra che, piaccia o no, sta migliorando la qualità della vita cittadina con una serie di interventi che sono sotto gli occhi di tutti.

Il punto è capire se la mossa provocatoria di Bianchi possa produrre qualche effetto. Il rischio è che le conseguenze siano negative, un boomerang soprattutto per lui. In primo luogo è uscito allo scoperto senza concordare l’intervento in consiglio comunale con nessuno dei vertici. Di sicuro non con il segretario provinciale Andrea Cassani, un peperino che non lascia correre gli sgarbi: la Lega, diceva Maroni, è un partito leninista. Ed è rimasta tale. In secondo luogo, Bianchi ha spiazzato gli alleati: figurarsi Fratelli d’Italia che, da come stanno andando le cose, ha già nel mirino, e non da ieri, le prossime candidature in provincia. Varese, Busto e Gallarate: il rimescolamento delle caselle, se mai non dovesse passare il terzo mandato, è scontato.

Chi dice che al leghista Bianchi deve essere riservato Palazzo Estense? Al momento, soltanto lui. E, in politica, tre anni corrispondono a un’era geologica: può accadere di tutto e il contrario di tutto. Anche che a Matteo Bianchi venga finalmente trovata una collocazione soddisfacente da altre parti, magari di prestigio, e l’autocandidatura di oggi diventi né più né meno un dato di mera cronaca. Con un unico protagonista che, voltandosi indietro, scopra di essere rimasto solo.

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