Rinasce Forza Italia. Forse anche in Provincia di Varese

Antonio Tajani indica la direzione

Di presidente ce n’è stato uno, tutto gli altri saranno segretari. Antonio Tajani ha esordito alla guida del partito post Silvio mettendo per sempre in bacheca la qualifica di “presidente”. Un po’ come quando si ritirano le maglie con il numero dei campionissimi. E Berlusconi per Forza Italia lo è stato: l’ha fondata e l’ha condotta ai vertici del sistema partitico italiano per quasi un trentennio. E ora? Perché è questa la domanda che gira nella testa di tutti i forzisti: da Tajani in giù, fino all’ultimo tesserato.

Perché il rischio, che quello che venne “squalificato” dagli avversari come il partito di plastica venga ora riciclato in altre formazioni del centrodestra, c’è eccome. Come permane l’azzardo che la nomina di Tajani alla guida del partito resti il posizionamento della punta di una piramide, senza più la piramide stessa però. Con una stella polare fissata nelle breve lettera che i figli di Berlusconi hanno fatto avere al congresso azzurro. Poche righe, in cui la più importante dice: “Continuate a far vivere gli ideali di di libertà, di progresso e di democrazia”. Insomma, il partito non abdica e va avanti. Nel nome del padre.

Ma che faranno i figli – intesi come militanti del partito – rimasti orfani di un papà politico tanto grande quanto ingombrante? Soprattutto i forzisti “di periferia”, anzi, di una periferia come il Varesotto, terra in cui Forza Italia, pur avendo i numeri da capitano, ha sempre agito da gregario alla Lega.

Tajani è stato a Varese nel settembre 2021, in occasione delle amministrative. Sono passati solo due anni ma pare un’era geologica. C’era il sogno di riprendersi Varese con Matteo Bianchi, c’era Draghi (e il forzista era tra i sostenitori del premier banchiere) e c’era (e c’è ancora) il dibattito del partito unico. Di lì a poco ci sarebbe stato anche un eccellente 13,5%, venuto fuori dalle urne grazie “all’artificio Galparoli” e al listone unico dei centristi. Oggi, nella città capoluogo, non è rimasto quasi nulla. C’è una sede (dove Cittadino e Provinciale convivono), qualche sporadico gazebo in piazza e un pugno di tessere. Oltre a un commissario di fresca nomina, Mimmo Esposito, che sui tavoli della coalizione può mettere più voti personali che esperienza politica e si ritrova sulle spalle il fardello di un’impresa titanica. Mica pizza e fichi.

Poi, se si cambia città, non è detto che cambi musica. Gallarate, ad esempio, può far leva su un commissario che vanta l’esperienza da veterano e la furbizia di chi sa come girano le cose nel partito e in politica. In più Nicola Mucci – si dice – può contare su una settantina di tesserati (si tenga conto che in tutta la provincia le tessere staccate sono 109) che però non fanno peso specifico come una volta né in città e neppure a livello provinciale. Perché qui sì che la musica è cambiata.

E se Gallarate non ride, Busto piange. Qui la sezione è senza un commissario dal maggio scorso, ma la notizia è saltata fuori quasi per caso e ha dovuto confermarla Lara Comi. Per il resto è porto delle nebbie: non si conosce il numero dei tesserati, non si conosce l’attività politica, forse perché non c’è, escluso quella “obbligatoria” dei rappresentanti di partito in consiglio comunale. E ci fermiamo alle tre città principali. Perché nei paesi più piccoli, dove ancora c’è chi tiene, magari nascosto ma senza mollarlo, il vessillo azzurro, la frase più ricorrente è: “Stiamo a vedere cosa succede”. Insomma, tutti hanno paura a uscire a vedere le stelle.

E quel che accadrà al momento non lo può dire nemmeno Pietro Zappamiglio, nominato dai vertici regionali commissario provinciale. Al sindaco di Gorla Maggiore non fanno difetto la voglia di fare, l’ambizione di farlo bene e la fede che, mattoncino dopo mattoncino, il partito tornerà ad avere una sua fisionomia politica e (perché qui pure quella si è persa) autorevolezza. Al momento però, escluso chi è stato chiamato a lavorare in prima persona, tutti stanno a guardare. L’immagine che ne viene fuori è un po’ come quella di quei mega cantieri dove per ogni maestranza ci sono quattro persone che osservano. Ecco, convincerne almeno la metà che, messa la punta, ora tutti devono lavorare per costruire la piramide, sarebbe un buon risultato in vista delle prossime Europee, traguardo considerato da molti come uno spartiacque politico, dove l’obiettivo forzista è: non naufragare.