L’assessore di Varese Molinari (Pd): «La nuova Lega ha mollato il Nord»

VARESE – La questione Settentrionale (ma anche quella Meridionale), l’autonomia, il fallimento del leghismo rosso e il Pd. Che deve finalmente prendere coscienza che la Lega di Salvini, spostando il baricentro, è altra cosa dalla Lega Nord. I Dem si trovano davanti spazi politici sguarniti, temi da affrontare sui quali non ha mai toccato palla. Specialmente al Nord è una sfida da accettare e di cui non avere paura. Sono questi gli argomenti toccati da Roberto Molinari, assessore a Palazzo Estense, ma che nell’intervista a Malpensa24 parla da iscritto al Pd.

Roberto Molinari, lei parla di questione Settentrionale e autonomia: temi che sono sempre appartenuti alla Lega e non al Partito Democratico. Ha deciso di giocare nel campo avversario?
«La questione Settentrionale e l’autonomia sono due temi che sono stati tenuti in ostaggio dalla Lega per decenni. Riflettere, ragionare, ma anche solo parlarne fino a qualche tempo fa si correva il rischio di cadere o nel leghismo rosso o nel centralismo romano. Ora è diverso, le cose stanno cambiando. La Lega stessa non è più quella di prima».

Ma i cavalli, per lo meno qui a Varese e provincia, sono ancora gli stessi…
«La Lega si trova ad affrontare il tramonto identitario contrapposto al nuovo percorso di Salvini. Il partito di oggi non è la continuità della vecchia Lega, ma la sua evoluzione in una formazione di destra radicale e nazionalista che nulla ha a che vedere con la questione settentrionale, con l’autonomia regionale e con la necessità di interpretare gli interessi della parte più moderna del Paese. Ciò significa, lo insegna la politica, che si aprono ampi spazi di manovra nel vuoto politico lasciato dalla Lega».

Non crederà che i problemi del Nord e l’autonomia siano solo una questione di spazi politici?
«Assolutamente no. Il Partito Democratico oggi deve avere la forza di prendere in mano questi temi e affrontarli in maniera seria. Convinta. Del resto la questione Settentrionale è solo uno dei problemi. L’altro, inutile nasconderlo, è la questione Meridionale. Purtroppo però l’aver lasciato questi due grandi temi a lungo “nelle mani” leghiste ha fatto sì che il folklore con cui sono state affrontate ha preso il sopravvento sulla necessità di cercare soluzioni che non sono mai state trovate. E di esempi non ne mancano».

Ovvero? 
«L’autonomia regionale. E’ un valore, strettamente legato alle problematiche di cui ho accennato poco fa. Ma l’argomento non può essere affrontato e ridotto al referendum regionale proposto da Roberto Maroni».

Quindi? 
«Il passaggio che stanno facendo i leghisti apre un processo politico importante dentro la Lega, ma anche fuori dalla Lega. Dove c’è anche il Partito Democratico. Che oggi non è più ostaggio dell’idea di autonomia e regionalismo imposti dal Carroccio. Oggi questi temi, questi problemi rimasti irrisolti devono essere affrontati in maniera più aperta e meno ideologica. E lo deve fare il Pd, dimostrando di avere la forza per farlo. Parlarne però non basta».

Certo sarebbe un cambiamento, quasi una rivoluzione di sostanza soprattutto, ma anche di linguaggio politico. Non le sembra di chiedere troppo al suo partito? 
«Il Pd al Nord non deve fare il leghista, ma lavorare in un campo sguarnito, abbandonato senza che il problema sia mai stato risolto da chi l’ha occupato per decenni. Il Pd deve fare riforme serie sulla questione Settentrionale. La sfida del partito al quale appartengo è quella di essere capace nel riformare un diverso assetto del Paese, partendo dai suoi poteri decisionali e dalla sua rappresentatività. Personalmente mi ritengo un regionalista convinto».

Insomma Molinari, lei ha già iniziato la sfida? 
«Oggi con la grave pandemia in corso non è remoto il rischio di cadere nel centralismo dello Stato. Bisogna però fare attenzione anche a non finire nel polo opposto: al centralismo regionale. La questione Settentrionale non la si affronta con “Milano caput mundi” e tutto il resto a ruota. Io credo che occorra veramente fare uno sforzo di fantasia, investire sui Comuni, sulle Province (come strumento tra i Comuni e le Regioni che forse occorrerebbe rimettere in sesto), su di un grado di autonomia regionale rivisto e su di un Parlamento rappresentativo e capace di tenere insieme i territori, ma anche gli interessi del Paese».

Ha in mente un modello, se non da applicare, per lo meno da seguire? 
«Oggi penso che l’esperienza emiliana del governatore Stefano Bonaccini sia da osservare con grande attenzione. Potrebbe anche essere il punto da cui partire».

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