La provincia di Varese e il messaggio di unità di Mattarella. Inascoltato

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Sergio Mattarella all'apertura dell'anno accademico all'Università dell'Insubria

C’è da domandarsi cosa sia rimasto dopo la visita di Sergio Mattarella, una settimana fa, a Varese. Quale sia il messaggio che vale la pena approfondire, al di là della cifra emozionale e del valore istituzionale della presenza del capo dello Stato nella Città Giardino e, per estensione virtuale, in tutta la provincia. Ebbene, a nostro modesto avviso ci pare di cogliere un significato profondo in una frase pronunciata durante il suo discorso, semplice e a un tempo denso di contenuti, all’apertura dell’anno accademico all’Insubria.Ci sono Paesi piccoli e Paesi che non sanno d’essere piccoli”. In chiaro: nessuno riuscirà a farcela da solo di fronte alle sfide epocali che ci riguardano. Il presidente si rivolgeva agli Stati, non c’è dubbio. Spostando però i termini del suo intervento sul piano locale, lo stesso messaggio vale per le città e i centri più o meno importanti del Varesotto. Una provincia, la nostra, policentrica, con un Nord e un Sud che in qualche modo si contrappongono sia sul versante orografico, sia per il profilo economico e produttivo. In mezzo c’è Varese, che dovrebbe essere il riferimento unico dell’intero territorio. Lo è davvero? Il derby con Busto Arsizio è datato, fin dai tempi in cui la Buonanima decise che il capoluogo della nascente provincia (era il 1927) sarebbe stato appunto Varese.

Braccio di ferro mai risolto e, anzi, rinvigorito senza soluzione di continuità dalla politica. La quale, manco a dirlo, privilegia il campanile, spesso però come paravento a un’altra contrapposizione più incisiva, quanto meno marcata: l’ appartenenza ai partiti. Così che un problema comune, poniamo l’inquinamento ambientale, venga affrontato autonomamente dalle singole amministrazioni. Il risultato è che lo stesso problema rimane irrisolto.

A maggior ragione in un periodo di crisi economiche, energetiche e sociali occorrerebbe che i Comuni, da quelli piccoli e quelli più grandi, si aggregassero per fare, come si dice, squadra. Non ci pare che questo stia accadendo, né che il capoluogo, con Palazzo Estense, stia cercando di unire il circondario e, prima ancora, le città più importanti, Busto Arsizio, certo, ma anche Gallarate, Saronno, Luino e via elencando. Insomma, ognuno per sé, fra malcelate gelosie e dannose primogeniture. Come si è sempre fatto nonostante i fallimentari tentativi del passato di provare a costituire un corpo unico pur nelle diversità istituzionali e geografiche. Compresi gli slanci autonomisti di Busto Arsizio desiderosa di diventare essa stessa capoluogo di una nuova provincia.

Si dirà, le responsabilità di un tale scollamento non possono essere addebitate tutte o in parte soltanto a Varese. Bene o male esiste ancora un ente Provincia, che però è stato svuotato nelle sue funzioni da una sciagurata legge, la Delrio, che nessuno ha ancora cancellato o, quanto meno, modificato. Vero, ma se un presidente e un consiglio provinciale sono ancora in essere dovrebbero attivarsi per coagulare, invece dividono. Divisioni, e siamo sempre lì, politiche. Tanto che in queste settimane, attorno a Villa Recalcati, non si parla d’altro che del rinnovo degli organi provinciali, dei prossimi organigrammi, delle poltrone, di chi sarà capace di ottenere il maggior numero di consensi nelle elezioni di secondo livello (votano soltanto sindaci e consiglieri comunali). Per dirla in un altro modo: l’obiettivo è il potere o quello che ne rimane per le Province così costituite.

La pessima realtà è che il messaggio di Mattarella è stato archiviato fin da subito. Non abbiamo sentito un solo sindaco, salvo che ci sia sfuggito, prenderne pubblicamente atto. Le città che si credono grandi fanno da sole, quelle piccole si arrangiano come possono. Le une e le altre vanno avanti alla sperindio persino per l’intercettazione dei fondi del Pnrr, che sulla carta dovrebbero rilanciare l’Italia e, quindi, il Varesotto e le sue città e i suoi paesi. Soldi di tutti che fanno comodo a tutti. Cos’altro aggiungere? Nulla, se non che senza uno scatto culturale, sottolineiamo culturale, della politica resterà l’illusione che il proprio orticello, piccolo o grande che sia, è sempre migliore degli altri. Anche se il cesto per il raccolto, alla fine, rimarrà vuoto.

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