Sentenza tombale per Caianiello: ha risarcito 70mila euro. E punta ai Servizi Sociali

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GALLARATE – «Ciò che in estrema sintesi era via via emerso (dall’inchiesta Mensa dei poveri) era un capillare sistema di corruttele su base territoriale, facente per lo più capo a due associazioni per delinquere – quella milanese e quella gallaratese – con reati quali appunto corruzioni, turbative degli incanti, abusi d’ufficio, emissioni di fatture false e autoriciclaggio… Figura principale di cerniera tra le due associazioni e certamente apicale anche nel complesso dei fatti ascritti risulta quella dell’imputato Nino Caianiello, punto di riferimento partitico clientelare nel bacino geografico di riferimento». Lo scrive il Gup di Milano Natalia Imarisio nelle 51 pagine della sentenza che il 21 ottobre scorso ha ratificato il patteggiamento a 4 anni e 10 mesi di Caianiello, il Mullah, arrestato nel maggio 2019 in seguito all’inchiesta Mensa dei poveri da molti definita la seconda Tangentopoli.

Il Mullah punta ai Servizi Sociali

Il patteggiamento a 4 anni e 10 mesi, a fronte di oltre 20 capi di imputazione, è frutto della trattativa condotta dall’avvocato Tiberio Massironi, difensore di Caianiello, con la procura milanese. L’obiettivo del suo legale è evitare il ritorno dietro le sbarre. In tutto il Mullah sconterà 5 mesi di carcere (già effettuati), due mesi circa ai domiciliari (la custodia cautelare dopo l’arresto)  e 45 giorni (quel che resta dei 4 mesi che “ballano” dopo il patteggiamento) puntando a un affidamento ai Servizi Sociali. I contatti per espiare facendo del volontariato non mancano: da Exodus, realtà che l’ex Ras di Forza Italia, ha sempre affiancato ad altre.

L’immobile da 70mila euro

Il punto è delicato. Per essere ammessi al patteggiamento è necessario aver risarcito il danno. Ed è il giudice nella sentenza a mettere il punto dopo che alcune parti civili, Accam in primis, avevano osservato come il risarcimento del danno (agli enti privati), condizione indispensabile al patteggiamento, non fosse avvenuto. «Poiché si richiede una integrale restituzione del profitto o del prezzo di reato, occorre desumere che debba esserci specificazione determinata del profitto o del prezzo, o quantomeno, su immediata determinabilità alla stregua dell’imputazione». In estrema sintesi: il danno non può essere quantificato, esattamente, in questo caso. Tutto ciò che risulta in possesso di Caianiello, fatta eccezione per tre conti confiscati sui quali era presente una somma complessiva di poco meno di 8mila euro, è l’immobile dove aveva sede la sua ex ricevitoria. Valore stimato: circa 70mila euro. Perché un conto è il risarcimento per il patteggiamento, altro è quello alle parti civili.

La piena collaborazione

Sul fronte collaborazione il giudice scrive: «Risultano concedibili le attenuanti generiche». Per quanto riguarda le “nuove” attenuanti speciali, «Trattasi di circostanze attenuanti ad effetto speciale dettata per i soli reati di corruzione e induzione indebita, mira ad ottenere una collaborazione processuale, tale da spezzare la catena di solidarietà che lega i protagonisti della fattispecie corruttiva, e che risulta giustificata dalla minore capacità a delinquere del colpevole che, successivamente alla commissione del reato, si sia efficacemente adoperato per conseguire, in via alternativa, uno dei risultati previsti dalla norma, prima che tale risultato sia autonomamente conseguito dagli inquirenti stessi». In sintesi Caianiello ha parlato per 70 ore, tanto è durato l’interrogatorio davanti al pm Luigi Furno.  E ha fornito elementi tali da poter, riscontri alla mano, indagare altri. Tra i nodi sciolti da Caianiello, ad esempio, c’è quello relativo alla gestione del bar dell’ospedale di Busto Arsizio che ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati Marco Passeretta, direttore amministrativo dell’Asst Valle Olona e di Davide Antonio Damanti, funzionario della stessa azienda.

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